Patologie - Matteo Vitali

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Patologie

Il Ginocchio
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ARTROSI

Di cosa si tratta?
L'artrosi del ginocchio è la più comune malattia del ginocchio in età senile ed è un processo frequente, prevalentemente degenerativo, caratterizzato dall'usura e dall'invecchiamento, ma si può manifestare anticipatamente se originata da lesioni articolari traumatiche non trattate correttamente in età giovanile.

Può essere grossolanamente definita una sorta di "usura" dei capi articolari, nella quale lo strato di cartilagine che riveste i condili femorali e i piatti tibiali si assottiglia progressivamente fino ad esporre l'osso sottostante. Questo reagisce addensandosi e producendo escrescenze periferiche appuntite, gli osteofiti. Anche la rotula può essere coinvolta insieme con la sua superficie di scorrimento sul femore distale (la troclea).

I sintomi sono in genere chiari ed inequivocabili: dolore, gonfiore, deambulazione claudicante, sensazione di impaccio dell'articolazione e rumori articolari detti scrosci.

La diagnosi è clinica e radiografica. Le radiografie evidenziano le alterazioni del profilo scheletrico ormai molto accentuate, mentre TAC e RMN rilevano le precoci irregolarità delle cartilagini.

Un trattamento riabilitativo ben condotto può migliorare la qualità della vita, mirando alla riduzione del dolore, al recupero della funzionalità articolare, alla ripresa di una vita attiva, ed al rallentamento dell'evoluzione della malattia. Riteniamo un momento fondamentale della terapia l'informazione del paziente riguardo alcune norme elementari di prevenzione: calo ponderale, riduzione di lavori fisici eccessivi e sollecitazione di attività fisiche e sportive più congrue, assunzione di posture corrette notturne e diurne.


Soggetti prevalentemente colpiti
La gonartrosi è una patologia tipica dell'età avanzata (oltre i 60 anni), soprattutto nelle sue forme primarie (ovvero a causa ignota), che, contrariamente all'artrosi dell'anca, prediligono il sesso femminile. Quando l'artrosi consegue ad una condizione morbosa pre-esistente, ovvero è secondaria, l'età media di insorgenza può abbassarsi notevolmente (40-50 anni).

Cause
La gonartrosi primitiva è una condizione di cui non è nota la causa determinante. L'ambito delle forme primitive è destinato inevitabilmente a restringersi con il progredire della conoscenza della malattia. Pare che l'obesità (e quindi il maggior carico) insieme a fattori predisponenti costituzionali giochi un ruolo importante nella progressione della malattia. Le cause più comuni di gonartrosi secondaria sono i postumi di fratture articolari del ginocchio, i mal allineamenti (ginocchio varo e valgo), il disallineamento dell'apparato estensore, le instabilità (rottura inveterata dei legamenti crociati), i postumi di interventi oggi non più praticati di meniscectomia totale e quelli di osteocondrite dissecante e di osteonecrosi condilica. Raramente si riconoscono anche cause sistemiche, quali alcune malattie dismetaboliche.

Sintomatologia
Il ginocchio artrosico è innanzitutto dolente (gonalgia). Il dolore, che è esacerbato dalla flessione massima, è in genere ben localizzato. Non di rado una coesistente cisti di Baker provoca una fastidiosa sensazione di tensione o pressione nell'incavo del ginocchio.

Il dolore in principio è occasionale, conseguente in genere a sforzo (es. una lunga camminata, alcune rampe di scale...), e viene prontamente alleviato dal riposo. Con il tempo, esso può divenire permanente, fino a disturbare il sonno.

Il dolore indotto dal carico determina una claudicazione di fuga: in altre parole, il paziente tende a caricare poco sull'arto dolente, accorciando la fase di appoggio sul piede corrispondente. La zoppia, oltre che da questo meccanismo protettivo, deriva anche dalla progressiva flessione del ginocchio, che, non potendosi più estendere completamente, rende difficoltosa la deambulazione.

Nelle fasi avanzate, l'usura spesso asimmetrica dell'articolazione tende a determinare un malallineamento in varo o valgo o ad aggravarne uno pre-esistente.

Esami strumentali
La diagnosi di gonartrosi è squisitamente radiologica. E' sufficiente una radiografia in carico nelle due proiezioni standard (anteroposteriore e laterale) per evidenziare i quattro segni radiologici fondamentali dell'artrosi: riduzione della rima articolare, addensamento dell'osso subcondrale, geodi (ovvero cavitazioni dell'osso, più rare nel ginocchio di quanto non si osservi nell'anca) e osteofiti. È peró necessario che questa radiografia venga eseguita in carico, cioè con il paziente in piedi, così da dimostrare con certezza la riduzione della rima articolare. In preparazione ad un intervento chirurgico è bene eseguire ulteriori indagini, che permettano di pianificare al meglio la procedura: in genere una teleradiografia in carico (ovvero una lastra lunga che comprende la totalità degli arti inferiori) e le proiezioni assiali della rotula (con ginocchio flesso a 30° e 60°) completano così il quadro. Nella valutazione di un ginocchio artrosico TAC e RMN sono esami perlopiù inutili, salvo casi molto particolari nei quali queste metodiche costituiscono esclusivamente un completamento diagnostico.

Terapie
Le forme iniziali possono trovare un temporaneo (ma a volte abbastanza duraturo) giovamento nella viscosupplementazione locale. Questa terapia, di competenza prettamente specialistica, viene eseguita mediante una serie di 2-4 infiltrazioni endoarticolari di preparati a base di acido jaluronico. Il numero e la frequenza delle somministrazioni dipendono dalle caratteristiche del preparato utilizzato. La finalità della viscosupplementazione è il miglioramento della lubrificazione del ginocchio e del trofismo delle cartilagini.

La terapia farmacologica è essenzialmente palliativa e dovrebbe essere impiegata, in modo possibilmente ciclico e non continuativo, per alleviare i disturbi nel paziente non candidato alla protesizzazione (perché ancora poco sintomatico o inoperabile).

La categoria farmacologia fondamentale è rappresentata dagli antiinfiammatori/antidolorifici, mentre alcuni integratori dedicati (preparati a base di glucosamina, condroitinsolfato e composti analoghi), meglio noti come condroprotettori, potrebbero avere un effetto benefico nel rallentare la degenerazione del tessuto cartilagineo, ma non vi sono ancora di studi adeguati che confermino questa ipotesi.

L'infiltrazione cortisonica, da non confondere con la viscosupplementazione (solo la via di somministrazione accomuna questi due presidi), è uno strumento potente, capace di risolvere rapidamente un quadro infiammatorio locale che a volte si sovrappone alla gonartrosi. Poichè i cortisonici possono deteriorare le strutture nobili intra-articolari (cartilagini, menischi e legamenti), andrebbero somministrati con cautela in pazienti che siano candidati a procedure conservative (come le osteotomie o le protesi monocompartimentali).

Poiché il ginocchio è circondato da un "astuccio" osseo solido e spesso, le comuni terapie fisiche (laser, ultrasuoni, elettroforesi…) risultano in genere poco efficaci. Nei soggetti obesi il calo ponderale ottiene grandi benefici e può prevedibilmente rallentare l'evoluzione del danno articolare, mentre un moderato esercizio fisico in assenza di carico (nuoto, bicicletta) permette di conservare più a lungo la mobilità e il trofismo muscolare, ritardando la comparsa di rigidità. Ovviamente le attività fisiche in carico, come il jogging, e tutti gli sport di contatto sono da evitare, poiché potrebbero accelerare la progressione del danno cartilagineo.

Nelle forme iniziali e caratterizzate da una significativa deviazione assiale (ginocchio varo o valgo), è possibile eseguire interventi correttivi (le cosiddette osteotomie) che, riallineando l'arto, arrestano o rallentano la degenerazione articolare. In questo modo è possibile, su pazienti relativamente giovani, posticipare di molti anni o persino evitare la sostituzione protesica del ginocchio.

Nei pazienti affetti da artrosi remittenti alle terapie precedentemente descritte la terapia chirurgica rimane la soluzione più efficace. Essa è rappresentata dall'impianto di protesi di ginocchio (totale o mono-compartimentale a seconda del quadro clinico). Tuttavia l'usura degli impianti (che costituisce un problema reale nei pazienti giovani) e la non trascurabile invasività dell'intervento ne consigliano l'impiego nelle forme avanzate.

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DOLORE ROTULEO

Il dolore rotuleo (o disallineamento dell'apparato estensore, o strabismo rotuleo) è una sindrome dolorosa provocata da un difettoso scorrimento della rotula nel proprio solco, la troclea femorale. La rotula è un anello fondamentale della catena muscolo-tendinea che rende possibile l'estensione del ginocchio (e quindi la deambulazione, la stazione eretta, e la quasi totalità delle nostre attività motorie). In questa catena, la rotula è compresa tra il muscolo quadricipite (il principale muscolo della coscia) e il tendine rotuleo, che, inserendosi sulla tibia a livello dell'apofisi tibiale anteriore, permette di trasformare la contrazione del muscolo in estensione del ginocchio.

Per scorrere liberamente la rotula possiede un "binario" scavato nella parte terminale del femore, la troclea. L'articolazione deputata a questo scorrimento è l'articolazione femoro-rotulea, che è parte integrante del ginocchio di cui costituisce uno dei tre compartimenti.

La rotula scorre sulla troclea ogni volta che il ginocchio si flette o si estende.
Soggetti prevalentemente colpiti

Il dolore rotuleo è un'affezione molto comune, che colpisce in prevalenza il sesso femminile in età giovanile e giovane-adulta.

Cause
Le cause di dolore rotuleo sono molteplici, ma tutte determinano un incongruenza tra il percorso seguito dalla rotula e quello tracciato dalla troclea femorale.

In particolare le più frequenti cause sono il ginocchio valgo (perché la troclea si trova angolata rispetto all'apofisi tibiale anteriore) i vizi torsionali del femore o della tibia (perché la troclea si trova ruotata all'interno rispetto all'apofisi tibiale anteriore), un muscolo quadricipite displasico (perché traziona la rotula non lungo l'asse, ma in modo asimmetrico verso l'esterno) o una rotula alta (perché non può sfruttare la "guida" della troclea). In alcuni pazienti una precedente lussazione traumatica ha determinato una lesione del legamento femoro-rotuleo mediale, condizionando una successiva instabilità cronica dolorosa anche laddove non vi erano condizioni predisponenti particolarmente sfavorevoli.
Sintomatologia
Il dolore rotuleo è un dolore subdolo, spesso solo un fastidio, che si manifesta in prevalenza quando il paziente è costretto a rimanere a lungo seduto, con le ginocchia flesse. Anche la discesa delle scale può essere dolorosa, mentre difficilmente si avvertono disturbi nella camminata in piano.

Il dolore è tipicamente anteriore, tutto attorno alla rotula.

Dipendentemente dal grado di disallineamento tra percorso rotuleo e guida trocleare è possibile individuare quattro livelli di gravità crescente:
Iperpressione esterna: la rotula è centrata nella gola della troclea, ma esercita un'eccessiva pressione sulla parete laterale;
Sublussazione: la rotula, ai primi gradi di flessione, si lateralizza rispetto alla gola trocleare, per rientrarvi solo in completa flessione;
Lussazione ricorrente/abituale: la rotula abbandona completamente il proprio solco, dislocandosi verso l'esterno durante la flessione (episodicamente o costantemente).
Lussazione cronica: la rotula rimane permanentemente dislocata verso l'esterno, lasciando disabitata la troclea. In genere è una malformazione congenita.

Qualsiasi condizione in cui la meccanica articolare sia alterata espone al rischio di sviluppare un'artrosi, nella fattispecie un'artrosi femoro-rotulea.

Bisogna tuttavia sottolineare che l'entità dell'alterazione condiziona la probabilità della degenerazione: quindi un'iperpressione semplice ha scarse possibilità di tradursi in artrosi precoce, mentre una sublussazione corre un rischio molto maggiore.

Esami strumentali
La diagnosi di sindrome rotulea è squisitamente clinica, cioè fatta dallo specialista durante la visita. Le radiografie servono a confermare la diagnosi e a permettere una stadiazione di gravità. La radiografia nelle proiezioni assiali di rotula (a 30° e 60° di flessione), in aggiunta alle proiezioni standard del ginocchio, permette di esaminare, a diversi gradi di flessione, la posizione della rotula rispetto al solco trocleare.

In alcuni pazienti particolarmente sofferenti l'ortopedico potrà richiedere ulteriori indagini, che permettano di pianificare al meglio le cure : in genere una teleradiografia in carico (ovvero una lastra lunga che comprende la totalità degli arti inferiori) ed eventualmente uno studio torsionale TAC degli arti inferiori.

Terapie
La terapia farmacologica è essenzialmente palliativa e dovrebbe essere impiegata saltuariamente nei momenti di maggiore acuzie, ad es. dopo una prestazione sportiva.

La categoria farmacologia fondamentale è rappresentata dagli antiinfiammatori/antidolorifici.

Notevole importanza ha la viscosupplementazione (ovvero l'infiltrazione di preparati a base di acido ialuronico) nei casi cronici, gravati da lesioni cartilaginee o da iniziale artrosi.

La maggior parte delle sindromi rotulee trova beneficio nel trattamento riabilitativo. Questo deve tendere al potenziamento selettivo di quella parte del muscolo quadricipite (vasto mediale) che permette di correggere il cattivo scorrimento, mentre deve mirare all'allungamento altrettanto selettivo di quella parte che contribuisce al cattivo scorrimento (vasto laterale). Solo un programma specifico può ottemperare a questi criteri.

L'adozione di una ginocchiera di stabilizzazione rotulea, infine, può rivelarsi utile nella pratica sportiva.

I casi refrattari alle cure kinesiterapiche sono candidati a terapia chirurgica, purché il disturbo sia significativo e/o il disallineamento sia grave al punto da far prevedere un'artrosi precoce. Non esiste un trattamento univoco, poiché la scelta della procedura dipende essenzialmente dalla causa del disallineamento: se la causa è il ginocchio valgo, si eseguirà un'osteotomia correttiva; se la causa è un vizio torsionale si eseguirà una trasposizione dell'apofisi tibiale anteriore o, nei casi più severi, un'osteotomia derotativa; se la causa è una displasia quadricipitale, si eseguirà una plastica del quadricipite; se la causa è una lesione legamentosa, si eseguirà una ricostruzione del legamento femoro-rotuleo mediale. Sempre minori indicazioni ha il semplice intervento di sezione dei legamenti alari laterali della rotula ("lateral release"), che ha il pregio della scarsa invasività, potendo essere eseguito in artroscopia, ma ha il difetto di essere solitamente insufficiente se non associato ad altri gesti chirurgici.

Infine, se il disallineamento ha già condotto ad un'artrosi femoro-rotulea importante, è possibile impiantare, in casi molto selezionati, una protesi femoro-rotulea.

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MENISCOPATIA

I menischi sono fibrocartilagini a forma di semianello che si interpongono tra i condili femorali e i piatti tibiali. Ve ne sono due in ogni ginocchio, quello mediale (o interno) e quello laterale (o esterno).
Mentre il menisco mediale ha una caratteristica forma a "C", quello laterale, più chiuso su se stesso, assomiglia ad una lettera "O". Entrambi hanno un margine libero rivolto verso il centro del ginocchio ed un bordo vincolato alla capsula articolare rivolto verso la periferia. Topograficamente, è utile distinguere in ciascun menisco un corno anteriore, un corpo ed un corpo posteriore

A cosa servono?
I menischi hanno molteplici funzioni: innanzitutto aumentano la congruenza tra i condili femorali (convessi) e i piatti tibiali (sostanzialmente piani), distribuendo così il carico in modo uniforme su tutta la superficie articolare; partecipano alla stabilità del ginocchio in modo sinergico con il legamenti; migliorano la distribuzione del liquido sinoviale sulla cartilagine articolare, facilitandone così la nutrizione.Si comprende dunque come la rimozione completa di un menisco possa provocare, nel lungo periodo, una degenerazione artrosica precoce.

Come si lesionano i menischi?
I menischi si fratturano solitamente per traumi di tipo distorsivo. Una violenta rotazione del femore sulla tibia (che è vincolata a terra) a ginocchio semiflesso è il meccanismo traumatico più comune. In questo caso la rima di frattura è netta e può essere descritta in base alla sua localizzazione (corno anteriore, corpo, corno posteriore) e al suo decorso:

Mentre le rime radiali sono sostanzialmente benigne, quelle longitudinali e quelle a flap, se sufficientemente estese, possono provocare la lussazione della porzione peduncolata di menisco. Questo si traduce, sul piano clinico, nel blocco dell'articolazione. Il rischio di lussazione è massimo in presenza di una lunga lesione longitudinale, che distacca un'ansa meniscale detta a "manico di secchio" per la sua forma.
A volte il menisco non si frattura, ma degenera in conseguenza dell'usura. Questa condizione, correttamente definita meniscopatia degenerativa, non è una rottura meniscale propriamente detta, ma una sorta di "anticamera" dell'artrosi. Il più delle volte in questi casi il paziente nemmeno ricorda un evento traumatico.
Soggetti prevalentemente colpiti
La rottura meniscale, essendo un tipico infortunio sportivo (calcio, sci...) , interessa prevalentemente giovani e giovani-adulti attivi, specialmente se praticanti sport di contatto. Al contrario la meniscopatia degenerativa è una patologia tipica dell'età adulta e senile. Sia per cause traumatiche, sia per cause degenerative, il menisco più spesso interessato è quello mediale: nel primo caso, perchè è quello più vincolato, e quindi meno capace di adattarsi a sollecitazioni improvvise; nel secondo caso, perchè è quello sottoposto a maggior carico.

Sintomatologia
In acuto la rottura di un menisco si presenta di solito con dolore, impotenza funzionale e talora un versamento (gonfiore) che cresce nell'arco di alcune ore. Se la frattura ha dislocato una porzione di menisco che ostacola il movimento, il ginocchio può sviluppare un blocco articolare, che, se non si risolve spontaneamente entro qualche ora, richiede un trattamento chirurgico urgente. In assenza di frammenti lussati e dunque di blocchi meniscali, i disturbi vanno gradualmente scemando entro 2-3 settimane, ma vengono solitamente risvegliati quando la porzione lesionata del menisco viene sollecitata (es. la flessione massima provoca dolore in presenza di una lesione del corno posteriore del menisco mediale).

La meniscopatia degenerativa, al contrario, comporta di solito una sintomatologia subdola, con dolore dopo affaticamento e in massima flessione. Raramente si osserva un versamento significativo. Spesso i disturbi ricalcano quelli di una gonartrosi incipiente.

Esami strumentali
La diagnosi di lesione meniscale è innanzitutto clinica. A conferma di un preciso sopetto clinico, lo specialista richiederà una risonanza magnetica, che costituisce l'esame più accurato per lo studio dei menischi.
Può guarire un menisco lesionato?
Il menisco è una struttura quasi completamente avascolare, cioè privo di vasi sanguigni, con la sola eccezione del margine periferico che si inserisce sulla capsula articolare. Questa situazione spiega perchè il menisco non sia capace di processi riparativi se non alla sua inserzione capsulare. Una lesione meniscale prossima al bordo libero, in pratica, non può guarire.

Terapie
Le fratture meniscali propriamente dette, ovvero quelle determinate da un trauma acuto su di un ginocchio in precedenza normale, meritano solitamente un trattamento chirurgico. Fanno eccezione alcune lesioni radiali perfettamente stabili che, superata la fase acuta della distorsione, non lasciano disturbi residui.

Il trattamento chirurgico è oggi prettamente artroscopico, e non comporta mai la rimozione completa del menisco (praticata in passato, con note conseguenze quali l'artrosi precoce), bensì la sua regolarizzazione (meniscectomia selettiva). Solo i frammenti instabili del menisco vengono asportati, mentre il tessuto sano viene scrupolosamente preservato.

In casi estremamente selezionati, ovvero rotture periferiche recentissime in soggetti giovani, è possibile eseguire la sutura della lesione, poichè la zona periferica del menisco è l'unica vascolarizzata e quindi capace di risposta riparativa. La protezione dal carico per 4-6 settimane e la successiva riabilitazione rendono inadatta questa metodica a pazienti che non siano fortemente motivati e collaboranti.

La meniscopatia degenerativa non richiede solitamente alcun trattamento chirurgico, che potrebbe anzi rivelarsi controproducente. La terapia farmacologica è essenzialmente palliativa e dovrebbe essere impiegata, in modo possibilmente ciclico e non continuativo, per alleviare i disturbi nel paziente non candidato a terapia chirurgica. La categoria farmacologica fondamentale è rappresentata dagli antiinfiammatori/antidolorifici, mentre alcuni integratori dedicati (preparati a base di glucosamine e composti analoghi), noti come condroprotettori, potrebbero avere un effetto benefico nel rallentare la degenerazione del tessuto cartilagineo, ma non vi sono ancora di studi adeguati che confermino questa ipotesi. La viscosupplementazione locale offre al contrario un notevole beneficio. Questa terapia, di competenza prettamente specialistica, viene eseguita mediante una serie di 3-4 infiltrazioni endoarticolari di preparati a base di acido jaluronico. La finalità della viscosupplementazione è il miglioramento della lubrificazione del ginocchio e del trofismo delle cartilagini.

Nelle forme caratterizzate da una significativa deviazione assiale (ginocchio varo o valgo) e da iniziale sofferenza della cartilagine articolare, è possibile eseguire interventi correttivi (osteotomie) che, riallineando l'arto, arrestino o rallentino le alterazioni degenerative.

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TENDINITE ROTULEA

La tendinite è una malattia infiammatoria che colpisce il tendine, in altre parole la parte terminale di un muscolo, laddove questo si inserisce sull'osso.
La tendinite rotulea fa in parte eccezione a questa definizione, perché le alterazioni degenerative prevalgono su quelle infiammatorie. La definizione di tendinopatia rotulea sarebbe dunque più appropriata.

Cos'è il tendine rotuleo
Il tendine rotuleo è il robusto tendine terminale del maggior muscolo della coscia, il quadricipite. E' teso tra la rotula e l'apofisi tibiale anteriore, protuberanza che si può palpare con facilità circa 4 dita trasverse al di sotto della rotula, sulla faccia anteriore della gamba.

Soggetti prevalentemente colpiti
Le tendiniti rotulee sono perlopiù appannaggio dei giovani sportivi, nei quali esse si configurano come overuse syndromes, ovvero patologie da sovraccarico. Questa malattia è anche nota come "ginocchio del saltatore" perchè spesso legata all'attività del salto. Giocatori di basket e volley ne sono frequentemente colpiti, soprattutto quando presentino una condizione anatomica nota come "rotula alta" o un mallallineamento del ginocchio (varo o valgo).


Sintomatologia
La tendinite rotulea si manifesta con un dolore anteriore nell'area del tendine rotuleo. Il disturbo compare in principio solo durante l'allenamento, per recedere poi nelle ore successive. Con il tempo esso può cronicizzare, esacerbandosi ogniqualvolta il paziente salti o si pieghi sulle ginocchia (squat).

Esami strumentali
La diagnosi di tendinite è esclusivamente clinica. A conferma di un preciso sopetto clinico, lo specialista può richiedere un'ecografia o una Rmn, che dimostrerà le caratteristiche lesioni tendinee (rotture, cisti, calcificazioni).

Terapie
Tutte le tendiniti si giovano in fase acuta della sospensione dell'attività fisica per alcune settimane, dell'assunzione di farmaci anti-infiammatori e dell'applicazione di una borsa del ghiaccio a periodi alterni.

Quando questi presidi non siano sufficienti a garantire la duratura risoluzione del disturbo, bisogna ricorrere a programmi riabilitativi specifici, quali lo stretching del quadricipite (così da diminuire la tensione del tendine stesso) e il lavoro muscolare eccentrico. Terapie fisiche quali gli ultrasuoni, la laserterapia, onde urto focalizzate e la ionoforesi possono coadiuvare il processo di guarigione. Nelle fasi croniche in quadri di degenerazione tendinea (tendinosi) il trattamento chirurgico mediante scarificazioni e/o infiltrazione di preparati piastrinici ( PRP platelet-rich plasma).

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LEGAMENTI CROCIATI

I legamenti crociati sono i principali responsabili della stabilità del ginocchio. Essi sono tesi tra il femore e la tibia e decorrono all'interno dell'articolazione. Prendono il nome di "crociati" perchè si incrociano al centro dell'articolazione.

A cosa servono?
I legamenti crociati anteriore e posteriore impediscono lo spostamento rispettivamante anteriore o posteriore della tibia rispetto al femore. Nel disegno sottostante si può osservare come un legamento crociato anteriore (L.c.a.) integro impedisca alla tibia di traslare in avanti. Non così un legamento rotto. La direzione dei crociati fa si che partecipino in modo determinante anche alla stabilità torsionale e medio-laterale dell'articolazione.
Come si rompono i legamenti crociati?
I crociati si rompono essenzialmente per traumi di tipo distorsivo. Il legamento crociato anteriore è più esposto al rischio di lesione. Spesso la rottura di un crociato si accompagna anche a lesione dei legamenti collaterali e dei menischi, costituendo così solo un elemento di un danno capsulo-menisco-legamentoso complesso.

Chi è prevalentemente colpito?
Trattandosi di un tipico infortunio sportivo (calcio, sci...) , i soggetti più a rischio sono giovani e giovani-adulti attivi.

Sintomatologia
In acuto la rottura di un legamento crociato si presenta di solito con un importante emartro, cioè un versamento di sangue che distende l'articolazione. Dolore ed impotenza funzionale dipendono sì dalla rottura legamentosa, ma anche dalle eventuali lesioni associate. Risolta la sintomatologia acuta in 2-3 settimane, se non vi sono lesioni associate, il paziente recupera buona parte della funzione articolare, ma residua quasi sempre una sensazione di instabilità che impedisce la pratica sportiva, soprattutto di quelle discipline che richiedono rapidi cambi di direzione o la corsa su terreni sconnessi.
Esami strumentali
La diagnosi di lesione dei legamenti crociati è prettamente clinica. A conferma di un preciso sospetto clinico, lo specialista richiederà una risonanza magnetica, che dimostrerà l'interruzione parziale o totale dei fasci legamentosi e le eventuali lesioni associate.E' preferibile evitare di eseguire l'esame quando il ginocchio è tumefatto, perchè le immagini risulterebbero meno significative: quindi o lo si esegue subito dopo il trauma, oppure è bene attendere la risoluzione della tumefazione.

Può guarire un crociato lesionato?
Il legamento crociato posteriore, che è ben vascolarizzato, può cicatrizzare, purchè non venga sollecitato per alcune settimane. Non può guarire, invece, il crociato anteriore, perchè la sua vascolarizzazione è insufficiente a sostenere i processi riparativi. Una volta rotto, degenera irreversibilmente.

Terapie
Dal momento che il crociato posteriore (L.c.p.) può guarire spontaneamente, è importante che il trattamento d'urgenza del ginocchio traumatizzato sia idoneo: un'immobilizzazione in estensione per 5-6 settimane è necessaria a ottenere la cicatrizzazione del legamento (che in estensione è deteso). Successivamente si inizierà un programma riabilitativo per il recupero dell'articolarità. Solo in caso di persistente lassità posteriore sintomatica (spesso determinata da un tardivo riconoscimento della lesione), si ricorre alla ricostruzione chirurgica.

Il crociato anteriore, non avendo possibilità di guarigione, non richiede provvedimenti specifici in urgenza: è sufficiente immobilizzare il ginocchio per alcuni giorni, fino alla diminuzione del versamento e del dolore, quindi è possibile riprendere gradualmente una vita normale. Quando l'emartro sia importante, lo specialista potrà decidere di pungere l'articolazione per evacuare la raccolta di sangue (artrocentesi) e ridurre i sintomi. Un programma riabilitativo finalizzato al potenziamento del quadricipite è fondamentale per restituire stabilità al ginocchio, vicariando in parte la funzione del legamento lesionato.

Pazienti giovani o con esigenze sportive trovano nella chirurgia artroscopica ricostruttiva un trattamento specifico in grado di sostituire il legamento danneggiato con un innesto tendineo (prelevato in genere dallo stesso ginocchio, in particolare dalla zampa d'oca o dal tendine rotuleo). Sebbene i dati siano controversi, è ragionevole pensare che il trattamento chirurgico, ripristinando la "normalità" articolare, possa evitare una degenerazione artrosica precoce. Per questa ragione è oggi una procedura altamente raccomandata al di sotto dei 40 anni di età. Oltre questa soglia, la decisione dipende essenzialmente dal livello di attività sportiva del paziente, che, se sedentario, può convivere senza particolari disturbi con i postumi di questa lesione.

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