Patologie - Matteo Vitali

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Patologie


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LESIONI DELLA CUFFIA DEI ROTATORI

Che cos'è e a cosa serve la cuffia dei rotatori?
La cuffia dei rotatori è una struttura anatomica fondamentale dell' articolazione della spalla; è l'insieme di 4 tendini che originano da muscoli con inserzione scapolare (sopraspinoso, sottospinoso, piccolo rotondo e sottoscapolare).

Essi attraverso la loro inserzione omerale, agiscono come rotatori dell'omero e, in sinergismo col deltoide, anche come abduttori. Inoltre essi aiutano a stabilizzare la testa dell'omero nella cavità glenoidea della scapola durante i movimenti del braccio.

Perché si può usurare la cuffia dei rotatori?
Le cause principali che determinano tale patologia possono essere riassunte in una causa degenerativa cronica (a cui si associano micro o macro traumatismi) o un evento traumatico.

Nel primo caso, col progredire dell'età la cuffia dei rotatori va incontro a processi spontanei di degenerazione, assottigliamento, usura e lesione vascolare ( la cosiddetta "zona critica" in corrispondenza dello spazio compreso fra il tendine sovraspinoso ed il legamento coraco-omerale) che, col passare del tempo possono determinare una lesione a tutto spessore della cuffia dei rotatori. In questi casi anche un trauma , non è particolarmente violento o è addirittura di così modesta entità da non lasciar traccia nella memoria del paziente può essere concausa della rottura della cuffia, ( ad esempio movimenti compiuti con il braccio in elevazione: sia protratti (dipingere un soffitto o una parete), sia brevi ed intensi (abbassare la saracinesca di un garage). Anche una sindrome da conflitto, ovvero una patologica ristrettezza dello spazio sottoacromiale, può essere responsabile di uno sfregamento dei tendini della cuffia contro la superficie antero-inferiore dell'acromion;ciò può portare, inizialmente, ad una infiammazione dei tendini e, nel tempo, alla rottura.

Nel secondo caso, meno frequente, la lesione della cuffia dei rotatori è secondaria ad un trauma diretto o indiretto. In particolare cadute accidentali , quando l'impatto avviene con il braccio istintivamente proiettato in avanti a scopo protettivo. Cadute sulla spalla possono causare una rottura, che è tanto più frequente quanto più il tessuto tendineo è degenerato. In giovani sportivi che compiono gesti atletici ripetitivi (lanci, nuoto, tennis), la cuffia può rompersi per le continue trazioni a cui è sottoposta o per l'instabilità articolare causata da un insufficiente tensione dei legamenti anteriori della spalla.

Chi è colpito più frequentemente da tale patologia?
Si manifesta in uomini/donne di età compresa fra i 40 e i 50 anni, abitualmente impegnati in attività manuali stressanti (di tipo professionale, sportivo, hobbistico), ma anche in soggetti sedentari di quando in quando esposti a movimenti e sforzi insoliti (attività di bricolage, gli "sportivi della domenica" ecc.). L' incidenza è del 6% e 30% per soggetti.

Come si può presentare una patologia della cuffia dei rotatori?
La sintomatologia è sia di tipo doloroso. Spesso notturno irradiato lungo il braccio. Al dolore si può associare una mancanza di forza ed una ridotta capacità di sollevare il braccio. Una rottura può non dare sintomi quando è di piccole dimensioni e, spesso, quando interessa solo il tendine sopraspinoso.

La rottura parziale è caratterizzata da un dolore vago, sordo, diurno che si localizza alla spalla regione postero laterale e anteriore e si irradia al braccio, al rachide cervicale e alla regione interscapolare. Aumenta col movimento, soprattutto in determinate movimenti (stirare, lavare i vetri, pettinarsi). Successivamente il dolore compare non solo durante i movimenti, ma anche a riposo, di notte. Il paziente riferisce una progressiva perdita di forza. Col passare del tempo non è in grado di svolgere le più comuni attività quotidiane come pettinarsi, infilarsi i pantaloni, stirare, portare le borse della spesa.

La rottura completa comporta la perdita invalidante della spalla associata ad un dolore cronico sia durente il movimento che a riposo. Nella rottura completa presenti da tanto tempo talvolta la funzionalità può essere paradossalmente conservata presumibilmente per i meccanismi di compenso che la cronicità ed il lento processo permettono di instaurarsi.

Come si può diagnosticare la patologia della cuffia dei rotatori?
Radiografia della spalla:l'esame radiografico, nelle proiezioni comuni ed in proiezioni specifiche, può evidenziare becchi ossei sul margine antero-inferiore dell'acromion od una risalita della testa omerale, entrambe responsabili di una riduzione dello spazio sottoacromiale.

Sono necessarie tre proiezioni: antero-posteriore, ascellare laterale, proiezione con tilt caudale di 30° (per lo studio del profilo sub-acromiale.

Ecografia: per lo studio dei tessuti molli periarticolari (capsula, legamenti, borsa, tendini).
Risonanza Magnetica: per lo studio approfondito sia della componente ossea che muscolo-tendinea della spalla.

Altre indagini (artrografia, artroTC, artroRM) consentono di documentare la rottura poichè il mezzo di contrasto, iniettato nell'articolazione gleno-omerale, si riversa nello spazio sottoacromiale attraverso la rottura tendinea.

Come si può trattare le patologie della cuffia dei rotatori?
Le lesioni tendinee che interessano la cuffia dei rotatori non devono essere necessariamente operate.

La radiografia e/o la RM servono al medico specialista per integrare le immagini alla storia clinica e all'esame obiettivo. Da questa integrazione deriverà l'indicazione alla riabilitazione o alla chirurgia.

I fattori che influenzeranno questa scelta sono:
  • Entità del dolore e dell'eventuale limitazione al movimento
  • Età
  • Tipologia di lavoro e sport
  • Arto se dominante o non dominante
  • Caratteristiche della lesione (informazioni derivanti dall' interpretazione della Rx e RM)
  • Aspettative del paziente
  • Possibilità riabilitative
  • "Compliance" (disponibilità) alla guarigione del paziente e supporto familiare

Inizialmente il trattamento prevede l'utilizzo di antiinfiammatori e terapie fisiche per ridurre il dolore; a ciò vanno associati cicli periodici di fisiokinesiterapia mirata per il recupero della forza e della articolarità della spalla. Nel caso in cui queste terapie non diano beneficio la scelta successiva può essere l'intervento chirurgico; esso permette di effettuare delle suture del tendine lesionato ed eventualmente la reinserzione del tendine all' osso mediante l'utilizzo di ancorette.

Le rotture piccole o medie (3cm-5cm) vengono comunemente trattate chirurgicamente sia in artroscopia, questa tecnica prevede l'utilizzo di una telecamera chiamata artroscopia che viene introdotta nell'articolazione mediante una piccola incisione ed attraverso altri 2-3 fori nella spalla si introducono gli strumenti necessari per la riparazione dei tendini.

Le rotture cosiddette massive, caratterizzate da una lesione ampia che interessa più tendini, vengono trattate con la tecnica a cielo aperto che mediante l'utilizzo di una piccola incisione cutanea di 3-4 cm ne permette una più facile e accurata riparazione.

Va sempre informato il paziente che non tutte le lesioni possono essere trattabile chirurgicamente poiché può capitare che il danno tendine e la conseguente degenerazione sia cosi ampia da non permetterne una sufficiente ed accettabile riparazione; in tal caso l'intervento chirurgico avrà un effetto palliativo sul dolore, ma non risolutivo dal punto del movimento della spalla.

Cosa succede al ricovero e per la riabilitazione?
La durata media del ricovero è di 24 ore; il paziente viene dimesso nella mattinata successiva all'intervento, salvo complicazioni.

Nell'immediato post-operatorio, viene posizionato un tutore di spalla con cuscino in abduzione di 10° circa che va portato per 20gg o 10gg a seconda che venga eseguita o meno la riparazione tendinea. Durante tale periodo è comunque possibile rimuovere il tutore 2-3 volte al giorno per eseguire cauti esercizi di mobilizzazione passiva della spalla, gomito, polso e dita. Il paziente verrà opportunamente istruito e reso autosufficiente per quanto riguarda le necessità quotidiane quali il lavarsi ed il vestirsi.

Rimosso il tutore, si potrà iniziare il trattamento fisioterapico. Per salvaguardare l'eventuale riparazione dei tendini non sono consentiti i movimenti attivi (ad esempio sollevare il braccio in avanti) ed il sollevamento di pesi per 6 settimane. Questo infatti è il tempo medio di integrazione delle strutture riparate (tendine-osso).

Bisognerà prevedere almeno 2 mesi di riabilitazione. In media il recupero funzionale ed il ritorno alle normali attività quotidiane si ottiene in 3-4 mesi ma può necessitare anche di periodi più lunghi. La ripresa di lavori particolarmente pesanti e di sport agonistici o di contatto può richiedere anche un anno.

Cosa si intende per lesione massiva?
Esistono rotture che non possono essere riparate e sono quelle che interessano 2 o più tendini della cuffia (rotture massive più grandi di 5 cm), con margini sottili e tessuto tendineo notevolmente degenerato.

Come si manifesta una lesione massiva della cuffia dei rotatori?
La sintomatologia è sia di tipo doloroso, ma sopratutto di tipo funzionale, infatti la lesione di questi tendini comporta l'incapacità all'esecuzione di alcuni movimenti della spalla.. E' importante conoscere la modalità d'insorgenza del dolore, la periodicità, la sede, le caratteristiche, l'irradiazione, i fattori aggravanti e di sollievo del dolore e gli eventuali sintomi associati. La clinica è caratterizzata da dolore anteriore e laterale di spalla, che non oltrepassa il gomito e non si estende al collo, tale dolore condiziona disturba anche il sonno.

Come si può diagnosticare la lesione massiva della cuffia dei rotatori?
Risonanza Magnetica: per lo studio approfondito sia della componente ossea che muscolo-tendinea della spalla.

Altre indagini (artrografia, artroTC, artroRM) consentono di documentare la rottura poichè il mezzo di contrasto, iniettato nell'articolazione gleno-omerale, si riversa nello spazio sottoacromiale attraverso la rottura tendinea.

Come si può possono trattare le lesioni massive della cuffia dei rotatori?
Le rotture massive (>5cm) inveterate della cuffia causano la migrazione verso l'alto della testa omerale. Questa non è più "centrata" nella cavità glenoide. Tale condizione causa, nel 4% dei casi, un'artrosi gleno-omerale (artropatia da cuffia). Il dolore e la perdita della mobilità conseguenti all'artropatia sono causati in parte dalla rottura tendinea e in parte dall'artrosi. Il trattamento consiste nell'impiantare una protesi (protesi inversa) che concettualmente è diversa da quelle comunemente utilizzate in pazienti con artrosi gleno-omerale senza rottura della cuffia.

Alcune rotture massive sono chirurgicamente non riparabili poichè i margini della rottura sono talmente sottili e degenerati da non consentire una tenuta soddisfacente della sutura. In questi casi, possono essere effettuati due tipi di trattamento: il primo (debridement artroscopico), rivolto soprattutto ai pazienti anziani, ha il compito di ampliare artroscopicamente lo spazio sottoacromiale (acromioplastica), di rimuovere la borsa infiammata (bursectomia) ed i margini di tessuto degenerato della rottura (debridement tendineo).

Il secondo intervento prevede la sostituzione dei tendini rotti con i tendini di muscoli vicini alla spalla (trasposizione) o l'utilizzo di patch (membrane) che ne sostituiscano la funzione.
Il ritorno all'attività sportiva può avvenire in genere a 90-120 giorni dall'intervento.

A che anestesia sarò sottoposto ?
Normalmente l'artroscopia richiede un'anestesia generale. Altrimenti l'anestesia che può essere utilizzata si chiama BI-BLOCK che significa iniettare un anestetico sulle radici nervose della spalla in modo da togliere la sensibilità dell'arto da operare. L'effetto dura normalmente 3-4 ore . Questo tipo di anestesia ha indubbi vantaggi: non intontisce, consente di mangiare subito dopo l'intervento, controlla il dolore più a lungo. Tuttavia, la scelta del tipo di anestesia a cui procedere viene operata dall'anestesista

Quanto tempo dopo l'intervento potro' tornare alle mie attivita'?
  1. Il giorno dopo l'intervento, se anestesista e ortopedico lo riterranno opportuno, potrà tornare a casa. La sua spalla sarà tutelata con un reggibraccio che vi verrà posizionato dopo l'intervento e dei cerotti che coprono la ferita chirurgica.
  2. Finito l'effetto dell'anestesia sarà possibile deambulare.
  3. Il gomito potrà essere mobilizzato dal giorno successivo l'intervento.
  4. Normalmente i punti di sutura vengono rimossi 12-14 gg dall'intervento e da quel giorno il Chirurgo vi illustrerà in primi movimenti da fare domiciliarmene con la spalla.
  5. Il tutore verrà mantenuto per 20-25 gg e notte
  6. Dopo si inizia la fisiochinesiterapia assistita con modalità e frequenza secondo la lesione trattata.
  7. I tempi di recupero sono in media tra i 4-6 mesi dall'intervento per le lesioni massive

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TENDINOPATIA CALCIFICA

Che cosa sono le calcificazioni della cuffia dei rotatori e perché si formano?
La cuffia dei rotatori è una struttura anatomica fondamentale dell' articolazione della spalla; è l'insieme di 4 tendini piatti che originano da muscoli con inserzione scapolare (sopraspinoso, sottospinoso, piccolo rotondo e sottoscapolare). Essi avvolgono superiormente, posteriormente ed anteriormente la testa omerale. La contrazione dei muscoli partecipa in misura determinante al sollevamento, all' intrarotazione e all' extrarotazione.La calcificazione un deposito di calcio in uno dei tendini della spalla. Ciò può verificarsi per due motivi: a) le cellule tendinee si trasformano in cellule produttrici di calcio per un processo che si chiama "metaplasia" (tendinopatia calcifica); b) il tessuto tendineo degenera a causa dell'invecchiamento e dell'usura, e successivamente calcifica (calcificazione degenerativa). Nel primo caso, il deposito di calcio si trova nel contesto del tendine; nel secondo, in corrispondenza dell'inserzione del tendine sull'omero.

Studi epidemiologici hanno dimostrato che le calcificazioni di spalla sono presenti nel 20% dei pazienti con rottura della cuffia dei rotatori, nel 33% di coloro che hanno un acromion di forma uncinata, nel 15% dei soggetti affetti da spalla congelata o capsulite adesiva e nel 6.8% di tutti coloro che hanno dolore alla spalla. Il 4.9% dei soggetti ha una calcificazione della spalla.

La tendinopatia calcifica è più frequente nei soggetti giovani adulti (nostri dati: età media, 45.4 anni), di sesso femminile e dediti (41%) ad attività lavorative domestiche o sedentarie (27%). La calcificazione degenerativa è spesso presente in soggetti anziani (età media, 66.5 anni) di sesso femminile; non è stata evidenziata una correlazione statisticamente significativa con l'attività lavorativa svolta

Chi è responsabile della deposizione di calcio nel tendine?
Le Vescicole della matrice. Fanno parte della famiglia delle vescicole sinaptiche, dei lisosomi. Sono il sistema di trasporto intra ed extracellulare.

In particolare le vescicole della matrice sono state scoperte da Anderson e Bonucci nel 1967 e sono specializzate nell'iniziare la fisiologica mineralizzazione della matrice extracellulare in diversi tessuti (dentina, osso etc.). Durante la apoptosi cellulare si rendono disponibili una maggiore quantità di ioni fosfato e ioni calcio a livello della membrana plasmatica che vengono trasportati dalle vescicole assieme ad una proteina (annexina) nella matrice extracellulare attivandone la mineralizzazione.

Classificazione
Numerose sono le classificazioni che sono state proposte dai vari Autori secondo criteri diversi:

- Anatomico: Bosworth le ha divise in piccole ( fino a 0,5 cm) medie ( da 0,5 a 1,5 cm) e grandi ( da 1,5 cm in su ). Patte e Goutallier le hanno divise in localizzate e diffuse (dense a margini netti, dense multilobulari, translucenti a margini netti, translucenti multilobulari).
Le forme localizzate sono generalmente rotonde-ovali, dense, omogenee e tendenzialmente più vicine al lato bursale. Le forme generalizzate hanno un aspetto e una localizzazione diversi. Farin ha proposto una classificazione ecografia: limiti netti con cono d'ombra posteriore, limiti sfumati con cono d'ombra posteriore, limiti sfumati senza cono d'ombra posteriore

- Clinico: De Palma le classifica a seconda della sintomatologia dolorosa in acute, subacute e croniche

- Anatomo-patologico/Evolutivo: Uhthoff ha posto l'accento sul quadro anatomo-patologico e sulla caratteristica della evolutività delle calcificazioni. Questa ci sembra la maniera più completa per poter comprendere, da una parte, il percorso tra i vari stadi che le calcificazioni compiono e , dall'altra, per potere di conseguenza effettuare , valutando anche attentamente la sintomatologia , il trattamento più idoneo possibile. Uhthoff distingue 3 stadi: 1: precalcifico, 2: calcifico e 3: postcalcifico.

1) Precalcifico: Vi è una elaborazione dei glicosaminoglicani indicata dalla metacromasia: si assiste quindi ad una metaplasia dei tenociti in condrociti con trasformazione fibrocartilaginea del sito in cui avverrà la calcificazione

2) Calcifico: Questo stadio riconosce 3 fasi: a) formazione b)quiescenza e c) riassorbimento
a) Fase della Formazione. I cristalli di calcio si depositano in vescicole sparse che
vanno mano a mano unendosi formando così ampie zone di deposito. In questa fase l'area della fibrocartilagine con i foci di calcificazione è solitamente priva di vascolarizzazione. I setti fibrocartilaginei che separano i vari focolai di calcificazione vengono gradualmente erosi dai depositi calcifici che vanno gradualmente aumentando di dimensione. Macroscopicamente la calcificazione presenta, un questa fase, un aspetto gessoso.
b) Fase della quiescenza: fase in cui si possono notare i depositi calcifici, a volte in seguito a radiografie occasionali ( eseguite per traumi o altro), in cui la sintomatologia dolorosa può essere più o meno presente ma mai di importante entità
c) Fase del riassorbimento. Questa fase inizia dopo un periodo di quiescenza di durata molto varia : perifericamente alle calcificazioni si assiste ad una neoformazione vascolare, dalle pareti sottili che permettono ai macrofagi e alle cellule giganti multinucleate di circondare le calcificazioni, fagocitarne ed asportarne il calcio. Macroscopicamente, in questa fase, il tessuto calcifico si presenta biancastro, denso con consistenza simile alla crema o alla pasta dentifricia.

3) Postcalcifico: Lo spazio lasciato libero dal calcio viene occupato da fibroblasti immaturi e neoformazioni vascolari. Durante il processo di cicatrizzazione il collagene e i fibroblasti si allineano secondo l'asse longitudinale del tendine.


A) Omogenea limiti definiti (cliccare per vedere immagine)
B) Eterogenea polilobata, limiti definiti
C) Eterogenea senza contorni netti
D) Entesopatia


Come si può possono manifestare le calcificazioni?
Dolore in corrispondenza della faccia anteriore o laterale della spalla, che non si irradia oltre il gomito e non si estende al collo. Il dolore si acuisce durante il sollevamento del braccio e può essere presente anche di notte. Generalmente la mobilità della spalla è ridotta.

La calcificazione (da tendinopatia calcifica) segue un suo ciclo evolutivo. Ad ogni fase di questo ciclo corrisponde un differente quadro clinico. La prima fase è definita di "metaplasia fibrocartilaginea". Seguono le fasi "formativa", "calcifica", "di riassorbimento" e "di ristrutturazione". Tranne la prima, sono tutte potenzialmente responsabili di dolore. La fase di "riassorbimento" è la più dolente. La durata di ciascuna fase non è nota.

Deve essere quindi valutato attentamente e confrontato con il quadro radiografico per poter mettere in atto il trattamento più adeguato. L'inizio della sintomatologia è sicuramente di tipo cronico, con disturbi molto modesti e disagio contenuto. Lo stato iniziale della formazione dei depositi non presenta neoformazione vascolare, reazione cellulare e non vi sono cambiamenti di tensione del tessuto tendineo. In questa fase bisogna però anche tenere in considerazione come calcificazioni molto voluminose possano entrare in conflitto con il legamento coracoacromiale. Questo tipo di sintomatologia si prolunga nella fase di quiescenza.

Il quadro clinico diviene molto doloroso, invece, nella fase di riassorbimento in quanto la neoformazione vascolare, unitamente allo stato essudativo, può portare un aumento considerevole del volume tissutale con conseguente aumento della pressione intratendinea. L'aumento di volume, di per se doloroso, deve fare anche i conti con le strutture vicine con le quali può entrare in conflitto. La motilità è ridotta in maniera importante dal dolore che si esacerba spesso nelle ore notturne. La durata della sintomatologia è varia: si va da 1 o 2 settimane per i sintomi acuti a 3-4 mesi per la sintomatologia cronica. Un'ipotrofia dei muscoli spinosi può tradire la lunga durata della sintomatologia.

Possiamo comunque, per motivi nosologici da una parte, e terapeutici dall'altra, distinguere3 forme sintomatiche:
  1. La forma acuta che, è stato descritto, può manifestarsi da una a 5-6 settimane. Molto dolorosa arreca importante disagio e impotenza funzionale.
  2. La forma cronica che può manifestarsi per molti mesi; presenta un dolore continuo, sordo, di intensità fissa. Questo dolore è nettamente inferiore a quello della forma acuta.
  3. Forma cronica subentrante caratterizzata da periodi di dolore e periodi di completo benessere. La sua durata minima di 1-2 mesi può protrarsi anche per oltre 6 mesi.

Come possono essere diagnosticate le calcficazioni?
L'esame radiografico ci permette di diagnosticare bene la presenza di calcificazioni e,
soprattutto, di capire di fronte a quale stadio della malattia ci troviamo.

Possiamo osservare due aspetti radiografici delle calcificazioni. Il primo aspetto ci fa vedere immagini dai contorni netti, distinti, di densità omogenea ed uniforme: ci troviamo di fronte alla fase di formazione o di quiescenza. Il secondo aspetto è nebuloso, a fiocchi di cotone, con contorni non ben definiti. Ci troviamo di fronte alla fase di riassorbimento. Se questo quadro è associato alla presenza di una banda a forma di semiluna possiamo pensare a una rottura della calcificazione all'interno della borsa sottoacromiale.

Per il riconoscimento delle calcificazioni è molto utile l'ecografia. Hartig e Huth hanno
scoperto come l'ecografia permette di evidenziare la totalità delle calcificazioni mentre la radiografia lo consente solo nel 90% dei casi.

Quale è la terapia?
Nella scelta del trattamento devono essere valutati e messi in relazione tra loro l'anamnesi,la sintomatologia e il quadro radiografico. Bisogna anche tenere ben presente che, nella grande maggioranza dei casi, l'evoluzione delle calcificazioni è la risoluzione spontanea.

Molti autori ( Gschwend e coll., Gartner, Lichmann e coll ) hanno dimostrato come solo nell'1-3 % dei casi si è stati costretti a ricorrere alla chirurgia e come il 33% delle calcificazioni di aspetto radiografico denso e l'85% delle calcificazioni di aspetto radiografico sfumato scompaiano naturalmente.

Diverse sono le metodiche di trattamento che possono essere impiegate:

1) Conservativa: Nella fase cronica è naturalmente la terapia d'elezione. E poggia le sue fondamenta sulla kinesi e sulla terapia fisica. Bisogna impedire la contrattura muscolare e impedire la rigidità per cui blandi esercizi pendolari e di mobilizzazione associati alle varie terapie fisiche analgesiche trovano vasto impiego. Si può fare uso della crioterapia se il dolore è più intenso o del calore nei casi francamente cronici.

2) Onde d'urto: negli ultimi anni viene sempre più adoperata ma non è scevra di complicanze. Su di essa bisogna fare alcune considerazioni. Non si può sperare che abbia lo stesso effetto della litotrissia sui calcoli renali. Questi ultimi, dopo essere stati frantumati trovano una facile via di eliminazione mentre lo stesso non si può pensare per le calcificazioni che sono intratendinee e che quindi possono essere espulse, dopo il trattamento con le onde d'urto, solo con la rottura del tendine che invece, avviene più raramente nel riassorbimento spontaneo. Diversi sono anche i risultati che troviamo in letteratura. Loew e coll hanno trovato risultati soddisfacenti in 4 pazienti su 5. Romp e coll non hanno assistito a risoluzione delle calcificazioni trattate con onde d'urto in 15 pazienti su 40 mentre nei restanti 25 vi era stato un riassorbimento parziale o totale. Sono stato trovati, a un controllo con RMN, 14 ematomi su 20 pazienti trattati con questa metodica.

3) Agoaspirazione e lavaggio ecoguidati: bisogna subito dire che la maggioranza degli Autori concordano nell'affermare che questa metodica è efficace solo nella fase di riassorbimento. Gartner ha rilevato il riassorbimento dopo agoaspirazione in 23 pazienti su 33. Gerber ha notato nella sua statistica di controlli a 5 anni, come il 60% dei pazienti non avesse più alcun dolore, il 34% riferisse un netto miglioramento e solo il 6% non avesse goduto di nessun beneficio. Harmon ha ottenuto il 78,9% di risultati positivi su 400 casi trattati. Altri Autori ( De palma e Kruper ) hanno avuto invece risultati buoni nel 61% dei casi, discreti nel 22% e cattivi nel 17%. Sebbene alcuni Autori raccomandino l'uso di corticosteroidi durante il trattamento di agoaspirazione va ricordato come il cortisone inibisca l'attività dei macrofagi e la proliferazione vascolare disturbando quindi il processo di riassorbimento. Il dolore può essere quindi controllato solo con l'uso di analgesici o anestetici locali.

4) Artroscopia: Al contrario dell'agoaspirazione il trattamento artroscopico trova la sua migliore indicazione nei casi di calcificazioni radiologicamente dense e a margini netti. L'indicazione all'intervento di asportazione delle calcificazioni per via artroscopica deve essere data con parsimonia ed oculatezza: bisogna essere certi che i depositi siano responsabili della sintomatologia dolorosa, bisogna diagnosticare l'eventuale presenza di patologie associate e quindi bisogna pianificare gli eventuali gesti chirurgici necessari ( acromionplastica, sezione del C-A, ecc…..)

Conclusioni:
La scelta del trattamento quindi deve sempre tener conto di tutte le variabili presenti perché l'atteggiamento dell'ortopedico, anche davanti allo stesso quadro radiologico, potrà e dovrà essere diverso a seconda della sintomatologia e della durata del dolore.

Non prendiamo in considerazione lo stadio precalcifico in quanto privo sia di segni clinici che radiologici.

Quando ci si trova davanti allo stadio di formazione è la sintomatologia dolorosa sempre modesta che ci permette di distinguerlo dallo stato di quiescenza dove il dolore può invece essere più importante. Anche l'anamnesi, interrogando il paziente sull'insorgenza e la durata della sintomatologia dolorosa, servirà a chiarire il quadro clinico. La terapia quindi, nello stato di formazione sarà sempre conservativa.

Nello stato di quiescenza invece, ci si può trovare di fronte a degli episodi di dolore che non recedono con il trattamento conservativo. E' questo il caso in cui può essere utile l'asportazione artroscopica delle calcificazioni. Lo stato gessoso dei depositi di calcio controindica, infatti, in questa fase, l'uso dell'agoaspirazione che incontrerebbe notevoli difficoltà nell'eliminazione dei cristalli poco o per niente fluidi.

Nella fase di riassorbimento, se il dolore è molto importante, non controllabile con i comuni farmaci e con pochi accenni alla regressione, anche se ci troviamo di fronte a una fase destinata alla guarigione, non possiamo protrarre a lungo le sofferenze del paziente e dobbiamo ricorrere all'agoaspirazione ecoguidata. Quest'ultima trova in questa fase la sua indicazione elettiva per la presenza di depositi calcifici fluidi, facilmente rimovibili.
Nell'ultimo stadio , quello postcalcifico, l'unico trattamento è naturalmente quello
conservativo.


Referenze:
  • Bosworth BM : Calcium deposits in the shoulder and subacromial bursitis: A survey of 12122 shoulders JAMA 116: 2477-2482, 1941
  • De Palma A: Surgery of the shoulder, 2ed. Philadelphia: JB Lippincott 1973
  • De Seze S and Welfling J: Tendinites calcifiantes. Rhumatologie 22:5-14, 1970
  • Duplay S: Dela periarthrite scapulohumerale et des raideurs de l'epaule qui en sont la consequence. Arch Gen Med 513 ;542 1872
  • Gartner j: Tendinosis calcarea-Behandlungsergebnisse mit dem Needling. Z Orthop Irhe Grenzgeb 313; 461-469, 1993
  • Hartig A and Huth F:Neue Aspekte zur Morphologie und Therapie der Tendinosis calcarea der Schultergelenke. Artroskopie 8: 117-122, 1995
  • Pate and Goutalier D: Calcifications. Rev Chir Orthop 74: 277-278, 1988
  • Rockwood e Matsen : La spalla II edizione )71-989 1998
  • R. Rotini, P. Bungaro, D Antonioli, D Katusic, A Marinelli Algoritmo di trattamento della tendinopatia calcifica della cuffia dei rotatori: indicazione all'artroscopia e risulatti nella nostra esperienza. Chir. Organi Mov. XC 105-112, 2005
  • Welfling J, Kahn MF, Desroy m, e al: Le calfications de l'epaule. H. La maladie des calcifications tenmdineuses muòtiple. rev rheum 32 : 325-334,1965

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TENDINOPATIA DEL CAPO LUNGO DEL BICIPITE (CLBO)

Che cosa si intende per patologia del Capo Lungo del Bicipite Omerale (CLBO)?
Circa un quinto delle spalle dolorose sono affette da tendinite del bicipite. Le rotture sono frequenti negli anziani e non è raro riscontrarle in associazione con una rottura della cuffia dei rotatori.

Si distinguono due tipi di tendinite: primaria e secondaria. Se ad essa si associa la fuoriuscita del tendine dal solco bicipitale (parzialmente o totalmente; momentaneamente o definitivamente) si definisce instabile.

Tra le varie patologie del CLBO vi sono le SLAP lesion che è una lesione della porzione superiore del cercine glenoideo dove si inserisce il tendine del bicipite. La lesione può essere rappresentata da una frammentazione e degenerazione del cercine o dal distacco del tendine bicipitale. Il tendine, soprattutto nell'anziano, può rompersi spontaneamente in seguito ad un comune gesto, come il sollevamento di un piccolo peso.

La tendinite primaria è dovuta ad irregolarità ossee del solco bicipitale o ad ispessimento del legamento che mantiene il tendine all'interno del solco; quella secondaria è causata di solito da una rottura della cuffia dei rotatori o da un attrito con la volta acromiale (sindrome d'attrito sottoacromiale).

L'instabilità del CLBO può essere dovuta alla scarsa profondità del solco bicipitale, alla rottura dei legamenti che mantengono il tendine all'interno del solco, alla disinserzione del tendine del sottoscapolare dal trochine o alla mancata guarigione di una frattura del trochine (pseudoartrosi).

Le SLAP si verificano in seguito a cadute sul palmo della mano e con il braccio distanziato dal fianco o in conseguenza di trazioni esercitate sul braccio quando il muscolo bicipite è contratto (lanci ripetuti).

Il tendine può rompersi se è degenerato.

Come si può manifestare una patologia del CLBO?
La tendinite causa dolore alla spalla che si irradia lungo la faccia anteriore o laterale del braccio. Generalmente il dolore non si estende al collo e non oltrepassa il gomito; inoltre, si attenua di notte e si acuisce con l'attività.

L'instabilità è caratterizzata da dolore simile a quello dovuto alla tendinite. In alcune posizioni si avvertono crepitii e piccoli scatti. Il paziente è generalmente giovane ed impegnato in attività sportive di lancio.

Le SLAP causano dolore solo durante il sollevamento del braccio e durante l'esecuzione di un lancio. Il paziente può avvertire scatti o avere la sensazione che la spalla fuoriesca momentaneamente dalla sua sede. Raramente si verifica un blocco articolare. In questo caso la spalla rimane bloccata per alcuni secondi in una posizione.

Il paziente che va incontro a rottura può essere stato asintomatico fino ad allora o può aver sofferto di tendinite. Al momento della rottura avverte uno schiocco accompagnato da dolore che permane per 10-20 giorni. Subito compare una tumefazione sulla faccia anteriore del braccio, più evidente durante la flessione del gomito.

Quali sono i test clinici utili per la valutazione del tendine del Capo Lungo del Bicipite?
Pulm-up test. Si contrasta il movimento dell'arto superiore del paziente che cercherà di elevarlo in anteposizione con gomito esteso ed avambraccio supinato.

Test di Digitopressione del Solco bicipitale: si esercita una pressione a livello del solco bicipitale mantenendo il braccio flesso a 90° e leggermente extraruotato.

Test di Yergason: con il paziente a gomito flesso, l'avambraccio in posizione prona e l'omero leggermente extraruotato, si provoca dolore, opponendo resistenza ai tentativi di supinazione dell'avambraccio esercitati dall'esaminatore.

L'esame è in grado di fornire anche un'idea sulla riparabilità o meno del difetto. Lesioni acute in soggetti giovani e sani, senza precedenti specifici alla spalla, sono riparabili. Al contrario, una prognosi negativa si accompagna a pazienti anziani con lesioni che datano da molto tempo.


Come si può possono diagnosticare le patologie del CLBO?
L'esame radiografico standard non fornisce informazioni utili. L'ecografia e la RM possono documentare un processo infiammatorio o una lussazione (instabilità) del tendine. Le SLAP possono essere sospettate con un'artroRM, ossia una RM con contrasto intraarticolare. La diagnosi di rottura del bicipite è clinica. Il paziente ha una tumefazione in corrispondenza della faccia anteriore del braccio che aumenta di volume quando flette il gomito


Come si può possono trattare le lesioni del CLBO?
Le tendiniti vengono trattate conservativamente (riposo, analgesici e fisioterapia ed eventuali infiltrazioni nel solco bicipitale). Nei casi di dolore persistente, e in pazienti anziani, può essere indicata la resezione (tenotomia) del tendine in artroscopia. Se il tendine è instabile è indicato l'intervento chirurgico di fissazione del tendine (tenodesi) o di resezione. Nel caso di SLAP, è indicata la fissazione artroscopica del "complesso cercine-tendine" mediante l'utilizzo di "ancorine" in metallo, in plastica o in materiale riassorbibile. Le rotture possono essere trattate conservativamente o chirurgicamente (tenodesi). La prima opzione comporta la persistenza della tumefazione sulla faccia anteriore del braccio ed una predisposizione alla sindrome d'attrito ed alla rottura della cuffia dei rotatori. Con la seconda, il paziente non avrà più la tumefazione, poichè il tendine viene reinserito nel solco bicipitale (non nella sede originaria).

Il trattamento conservativo comporta una risoluzione dei sintomi in circa l'80% dei pazienti con tendinite. Dei pazienti trattati chirurgicamente, il 66% ottiene un risultato soddisfacente con la tenodesi. Nel caso di associazione con altre patologie è necessario che anche esse vengano trattate, pena la persistenza del dolore. La quasi totalità dei pazienti con instabilità tendinea ottiene un risultato soddisfacente dalla tenodesi. L'88% dei pazienti sottoposti a fissazione artroscopica del complesso cercine-tendine (SLAP) ottiene un risultato eccellente o buono. Infine, dei pazienti con rottura del tendine, quelli non operati non hanno dolore, recuperano una articolarità completa, ma talora non la piena forza dell'avambraccio in supinazione (movimento che si esegue volgendo il palmo della mano verso l'alto). I pazienti operati hanno un risultato analogo; esteticamente non presentano più la tumefazione, ma hanno una cicatrice chirurgica.

Quanto tempo dopo l'intervento potro' tornare alle mie attivita'?
  1. Il giorno dopo l'intervento, se anestesista e ortopedico lo riterranno opportuno, potrà tornare a casa. La sua spalla sarà tutelata con un reggibraccio che vi verrà posizionato dopo l'intervento e dei cerotti che coprono la ferita chirurgica o i buchi artroscopica.
  2. Finito l'effetto dell'anestesia sarà possibile deambulare.
  3. Il gomito potrà essere mobilizzato dal giorno successivo l'intervento.
  4. Normalmente i punti di sutura vengono rimossi 12-14 gg dall'intervento e da quel giorno il Chirurgo vi illustrerà in primi movimenti da fare domiciliarmene con la spalla.
  5. Dopo si inizia la fisiochinesiterapia assistita con modalità e frequenza secondo la lesione trattata.
  6. I tempi di recupero sono in media tra i 3 e i 4 mesi dall'intervento
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INSTABILITA'

Che cosa si intende per lussazione o sub-lussazione della spalla?
Quando l'articolazione gleno-omerale della spalla (formata dalla sfera della testa dell'omero e dal piatto della glena della scapola) è ruotata traumaticamente in avanti ecco che la testa omerale scivola al di fuori della zona d'appoggio sulla glena e si verifica la cosi' detta "lussazione anteriore di spalla". Se la sfera della testa omerale scivola solo parzialmente al di fuori tornando poi spontaneamente al suo posto allora si è verificata una "sub lussazione".

Una lussazione può verificarsi per un trauma (lussazione traumatica) o per movimento di extrarotazione improvviso, ad esempio nuotando (lussazione atraumatica). Nel primo caso, la lussazione è da attribuire al solo evento traumatico; nel secondo è da attribuire alla "cedevolezza" congenita (lassità costituzionale) delle strutture preposte alla stabilizzazione della testa omerale. La lussazione atraumatica si verifica spesso, in momenti differenti, in entrambe le spalle.

Un terzo gruppo di pazienti, per lo più giovani sportivi dediti ad attività di lancio, possono sviluppare una instabilità di spalla (sublssazioni) per il danno alle strutture stabilizzanti causato dalla ripetitività del gesto atletico.

La spalla diventa instabile quando viene danneggiato il complesso comprendente la capsula dell'articolazione, il cercine ed i legamenti. I legamenti sono strutture fibrose che connettono un osso ad un altro osso garantendo la stabilità dell'articolazione.

A seguito di un trauma diretto o indiretto sulla spalla, la testa dell'omero può lussarsi (perdita di contatto permanente e completa dei capi articolari) o sub-lussarsi (parziale e temporanea perdita di contatto dei capi articolari) provocando spesso dolore ed impotenza funzionale. Le lesioni capsulo-legamentose possono anche essere determinate da "usura meccanica" per microtraumi ripetuti o uso intenso (sia per attività sportive che lavorative). L'instabilità può essere antero-inferiore, nella quale la testa omerale si sub/lussa in avanti ed in basso rispetto alla glena, oppure posteriore (molto meno frequente).

Le lesioni "classiche" dell'instabilità anteriore sono:
  • o lesione di Bankart: si tratta del distacco del cercine antero-inferiore; la si individua nella RMN o TC
  • o lesione di Hill-Sachs: è l'"impronta" nella parte postero-superiore della testa dell'omero determinata dalla porzione antero-inferiore della glena al momento della lussazione; la si individua anche nelle radiografie.

Uno studio epidemiologico da noi condotto, ha evidenziato che la frequenza della lussazione di spalla, in un campione di quasi 60.000 persone, è dello 0.7%. La lussazione si verifica con maggiore frequenza nei giovani fisicamente attivi, generalmente al di sotto dei 30 anni. Quando la lussazione si verifica in persone di più di 30 anni essa si associa in generale ad altre patologie della spalla come fratture di strutture ossee o cartilaginee od alla rottura dei tendini dei muscoli della "cuffia dei rotatori" (i muscoli responsabili della rotazione interna ed esterna del braccio). Nelle lesioni traumatiche la possibilità di avere nuovi episodi di lussazione è inversamente proporzionale all'età del paziente, ovvero tanto più giovane il paziente, tanto più facilmente può andare incontro a recidive.


Come avviene la lussazione della spalla?
Generalmente i traumi che causano una lussazione si verificano con il braccio all'altezza od al di sopra della spalla, come nella posizione che si assume per lanciare un sasso o la palla nel baseball, cioè in posizioni in cui sul braccio si applicano forze che lo spingono violentemente in dietro. In alcuni casi si verificano lussazioni quando due persone si aggrappano l'una all'altra per evitare una caduta o quando si effettuano cadute sulla propria spalla.

La sintomatologia è caratterizzata da dolore acuto e impossibilità nella mobilizzazione della spalla. Quando la spalla si lussa per la prima volta è opportuno provvedere a riposizionare la testa omerale nella sua sede il più rapidamente possibile onde evitare il danneggiamento di nervi e di strutture ossee.

Per di più, durante una lussazione, le enormi forze che spostano la testa omerale di fuori della sua nicchia sulla glena fanno si che la testa omerale entri in contatto violento con il margine osseo anteriore della glena causando molto di frequente una frattura della testa omerale (detta lesione di Hill Sachs). Anche il margine anteriore della glenoide può essere fratturato in questo tipo di trauma. Generalmente si tratta di una piccola frattura, ma può essere anche di grandi dimensioni, soprattutto se l'osso è soffice.

Dopo la riduzione, la spalla viene immobilizzata con una fasciatura o un tutore per 3-4 settimane. Il periodo di immobilizzazione varia in funzione dell'età del paziente e della causa responsabile della lussazione.

La possibilità di una seconda lussazione (recidiva) dipende da 3 fattori: a) età del paziente; b) causa della prima lussazione (lussazione traumatica o atraumatica); c) attività lavorativa o sportiva svolta dal paziente. Un nostro studio ha evidenziato che se la prima lussazione si verifica nell'adolescenza (<18 anni), la possibilità che la lussazione recidivi è superiore al 90%. Un paziente ultrasessantenne ha il 20% di possibilità di ri-lussarsi. L'incidenza è superiore all'80% tra 20 e 30 anni. La recidiva è più frequente nei casi di lussazione atraumatica.

Come si manifesta una instabilità di spalla?
In pazienti di età compresa tra 20 e 30 anni, dopo il 2° o 3° episodio di lussazione traumatica se svolgono attività lavorativa o sportiva a rischio e se gli esami strumentali (rx e TC o artroRM) mostrano alterazioni che comportano una prognosi sfavorevole (lesione legamentosa, rottura o assenza del cercine, lesione di Hill Sachs).

Ad ogni ulteriore lussazione aumenta la probabilità che vengano irrimediabilmente danneggiate le superfici articolari o le strutture ossee o quelle legamentose. Ciò può portare, come generalmente accade, allo sviluppo di processi artritici a carico dell'articolazioneA prescindere dall'età e dal numero di lussazioni, quando insorgono sintomi legati all'instabilità (dolore e sensazione di imminente lussazione nei movimenti di sollevamento laterale ed extrarotazione.

Per i pazienti con lussazione atraumatica, vi è indicazione chirurgica solo dopo il fallimento del trattamento conservativo (potenziamento dei muscoli stabilizzatori della spalla) protratto per alcuni mesi.

Come si studia una spalla instabile?
  • Radiografia della spalla (antero-posteriore nelle rotazioni interna, neutra ed esterna + profilo di Bernageau o West Point)
  • TAC tradizionale per valutare il bone loss glenoideo
  • ARTRO-RMN ( con liquido di contrasto al'interno della spalla). In caso di allergie al mezzo di contrasto o rifiuto del paziente, preferire una semplice RMN.

Quali sono le lesioni da in stabilità?
Questa patologia può rappresentare una condizione notevolmente invalidante, soprattutto nei giovani, e molto spesso porta ad artriti deformanti nei casi di lussazioni ricorrenti. Quando la testa omerale è forzata ad uscire anteriormente dalla sua nicchia d'appoggio sulla glena della scapola, generalmente si osserva il danneggiamento del punto d'inserzione del legamento che dovrebbe tenere in posizione la testa omerale, questo in soggetti fino ai 25 anni circa. Il punto d'ancoraggio di questo legamento è chiamato "labbro glenoideo". Quando il labbro glenoideo viene distaccato dalla struttura ossea sottostante esso tende a tornare imposizione ed a cicatrizzare sull'osso spontaneamente. Quando la lussazione accade in persone oltre i 30 anni il trauma generalmente colpisce il legamento invece che il labbro. Anche questi soggetti vanno in contro ad una spontanea cicatrizzazione senza grossi problemi con semplici misure terapeutiche di tipo conservativo.

Il corretto trattamento di spalle affette da condizioni d'instabilità cronica è rappresentato da un intervento chirurgico con il quale si provvede a far cicatrizzare nuovamente il legamento distaccato in quella che è la sua fisiologica sede sull'osso. Questo tipo d'intervento è generalmente indispensabile nei giovani al di sotto dei 25 anni (nei quali altrimenti hanno altrimenti nuove lussazioni nel 90% dei casi). In persone oltre tale età è forse più opportuno tentare prima di stabilizzare la spalla con un periodo di riposo seguito da fisioterapia. Una seconda lussazione rappresenta una chiara indicazione per un intervento chirurgico di riparazione.

Con il migliorare della tecnica artroscopica la maggior parte dei chirurghi ritiene oramai che gli ottimi risultati ottenibili con l'intervento aperto (95%) possano oramai essere ottenuti anche per via artroscopia, con entrambe le metodiche si impiegano delle "ancorine" metalliche o in plastica che vengono infisse nel collo della scapola.

Durante l'intervento viene anche controllato lo stato di tutta l'articolazione, cioè anche dei tendini della cuffia dei rotatori, che sono talvolta lesionati nei soggetti con storia di più lussazioni e di età superiore ai 45 anni.

Dopo trattamento artroscopico la percentuale di recidiva oscilla, in varie casistiche, dal 10% al 30%. La perdita media dell'extrarotazione è leggermente superiore dopo intervento a "cielo aperto" che dopo intervento artroscopico.

Come si può possono trattare le lesioni da instabilità?
Le instabilità, abbiamo visto possono essere dovute a fattori costituzionali (lassità dei legamenti) spesso localizzata in tutto il corpo o ad eventi traumatici. Discriminare tra il trattamento conservativo (riabilitazione) ed eventualmente quello chirurgico è compito dello specialista dedicato alla patologia della spalla.

Tendenzialmente dopo il primo episodio di lussazione gleno-omerale traumatico o atramautica si tende a non operare i pazienti, ma vengono indirizzati verso un trattamento riabilitativo che verrà ben descritto nei paragrafi seguenti. A questa indicazione comunque esistono delle eccezioni in modo particolare per i giovani professionisti dediti a sport del lancio o in cui la spalla può essere vittima di nuovi traumi importanti, od eventualmente in quelle lesioni in cui alla sofferenza legamentosa si associ una lesione di tipo fratturativo a carico delle strutture ossee-cartilaginee.

Normalmente dopo il primo episodio di lussazione il braccio deve essere immobilizzato con un tutore per 20 -25 giorni in rotazione neutra, anche se la recente letteratura ha trovato un miglioramento dei risultati (diminuzione delle recidive) quando l'arto viene immobilizzato con una lieve extra rotazione. Questo tipo di trattamento benché teoricamente dia dei migliori risultati clinici spesso non è ben tollerato dai pazienti. Il trattamento riabilitativo conservativo è mirato a un riequilibrio della postura, ad un rinforzo dei muscoli scapolo-toracici e a un cauto progressivo recupero dell'articolarità prima passiva poi attiva sempre sotto la soglia del dolore.

Le instabilità di Spalla (lussazione antero-inferiore, ovvero la classica uscita di spalla), sono una patologia che interessa la popolazione più giovane (tra i 18 e i 35 anni). Vengono divise in costituzionali o traumatiche, possono presentarsi talvolta anche associate. Le prime sono imputabili a una lassità legamentosa generalizzata (vedi gomito, ginocchio, I° raggio della mano) per cui la testa omerale ha la possibilità di slittare (in direzione antero-inferiore) rispetto alla glena omerale.

Le traumatiche sono le più frequenti, sono molto dolorose, necessitano di una riduzione immediata e il classico meccanismo di lesione è l'associazione del movimento di abduzione ed extra-rotazione (gesto del lancio).

Nella forma traumatica, il complesso capsulo-labrale, ovvero il cercine glenoideo e in particolare i legamenti gleno-omerale medio e quello inferiore, vengono distaccati dall'osso (lesione di Bankart). L'indicazione chirurgica artroscopica è classica nelle lussazioni recidivanti. Si deve tenere in considerazione, comunque, il numero di episodi, l'età (i più giovani hanno più possibilità di recidive), l'attività sportiva e lavorativa, la qualità del tessuto che deve essere riparato.

Indubbi sono i vantaggi del trattamento artroscopico:
  1. Minimo insulto dei muscoli e della capsula
  2. Migliore visualizzazione della lesione (Bankart) quindi migliore possibilità di ripararla.
  3. Minimo danno estetico (tre fori da 3 mm)
  4. Recupero più rapido e semplice.

Lo scopo dell'intervento chirurgico è quello di reinserire quindi il complesso capsulo- labrale al tessuto osseo e quindi di dare alla capsula un'opportuna tensione in modo che possa esercitare la sua funzione più importante che è quella di contenere la testa omerale all'interno della concavità della glena

Trattamento
Nel caso di lussazione traumatica, l'intervento chirurgico adottato è diretto a reinserire il cercine glenoideo alla superficie ossea e ripristinare la tensione (plastica di ritensione) della capsula e dei legamenti gleno-omerali. Tale procedura può essere effettuata a "cielo aperto" o anche in artroscopia. Con entrambe le metodiche si impiegano delle "ancorine" metalliche o in plastica che vengono infisse nel collo della scapola.

In artroscopia abbiamo il vantaggio di una minor invasività, poichè l'intero intervento avviene attraverso piccolissime incisioni di circa 4-5 mm. Si risparmiano dunque insulti alla muscolatura deltoidea e pettorale, che viene in parte violata negli interventi a cielo aperto.
Durante l'intervento viene anche controllato lo stato di tutta l'articolazione, cioè anche dei tendini della cuffia dei rotatori, che sono talvolta lesionati nei soggetti con storia di più lussazioni e di età superiore ai 45 anni.

L'intervento chirurgico è diverso per le lussazioni atraumatiche. In questo caso non vengono impiegate ancorine. La capsula anteriore viene incisa trasversalmente e i due lembi ottenuti vengono sovrapposti tra loro (inferior capsular shift).

I principali motivi di soddisfazione per il paziente sono: la scomparsa del dolore, il recupero della forza e della funzione, il ripristino della stabilità. La percentuale di recidiva dopo stabilizzazione chirurgica a "cielo aperto" è circa il 5%.

Dopo trattamento artroscopico la percentuale di recidiva oscilla, in varie casistiche, dal 10% al 30%. La perdita media dell'extrarotazione è leggermente superiore dopo intervento a "cielo aperto" che dopo intervento artroscopico.

Dopo un intervento a "cielo aperto" o artroscopico l'arto viene immobilizzato mediamente per 4 settimane. Segue un periodo di riabilitazione (autonoma e con il fisioterapista) che dura circa 2 mesi . Durante il periodo riabilitativo possono essere svolte attività quotidiane, ma non il sollevamento di pesi o movimenti di extrarotazione. Un'attività lavorativa di tipo sedentario può essere ripresa dopo 6-8 settimane dall'intervento. Quella di tipo manuale non prima dei 3-4 mesi, evitando il sollevamento di pesi ed i movimenti bruschi di extrarotazione. L'attività sportiva, soprattutto quella che prevede il lancio, il contatto fisico o l'uso di racchette, non può essere praticata prima del 6° mese. I pazienti operati in artroscopia riprendono attività a rischio più tardivamente di quelli operati a cielo aperto.

Per la lussazione recidivante anteriore e pluridirezionale di spalla abbiamo da anni eseguito con soddisfazione gli interventi di Neer e di Latarjet. Seppur contenti di queste due metodiche siamo sempre andati alla ricerca di ulteriore semplicità, rispetto della fisiologia e, nello stesso tempo, efficacia.

Il nostro intento era quello di ripristinare quanto più possibile lo stato anatomico preesistente ricostruendo il ligamento gleno-omerale anteriore e mettendo in tensione il gleno-omerale inferiore senza incappare in importanti accorciamenti della capsula e senza ricorrere ad importanti traslazioni od osteotomie. Per cercare di raggiungere questo fine ci comportiamo in questa maniera.

La via di accesso è la classica via di Larghi. Si giunge sul sottoscapolare e lo si seziona dissociandolo dalla capsula.

A questo punto si esegue l'artrotomia in maniera obliqua praticando l'incisione dall'alto verso il basso e dall'interno verso l'esterno.

Giunti a livello del collo omerale si scolla bene la capsula dalla sua inserzione in maniera da poter poi ben mobilizzare la capsula stessa nel momento della ricostruzione. Eseguita l'artrotomia si esplora il cavo articolare alla ricerca di eventuali lesioni del cercine glenoideo anteriore che, se presenti, vengono naturalmente riparate.

Ultimato questo tempo si passa alla sutura della capsula. La sindesmopessi viene effettuata suturando a pastrano i due lembi della capsula portando soprattutto in alto, e molto poco lateralmente, la porzione inferiore.

Questo tipo di sutura comporta la duplicatura e quindi il rinforzo del ligamento gleno-omerale medio e la messa in tensione del ligamento gleno-omerale inferiore. Un ulteriore vantaggio di questo tipo di sutura è quello di non dare accorciamenti della capsula e quindi di non provocare riduzioni della extrarotazione.

Alla fine della sindesmopessi è possibile extraruotare ampiamente la spalla Per finire il sottoscapolare viene suturato nella sua sede. Segue immobilizzazione in tutore per 4 settimane e quindi kinesiterapia.

I risultati sono stati molto soddisfacenti. Non abbiamo avuto mai recidive della lussazione e tutti i pazienti hanno ripreso le loro attività sia lavorative che sportive.
Ci preme porre l'accento sui vantaggi che questa metodica offre: la semplicità della tecnica chirurgica, il rispetto dell'anatomia, la veloce e completa ripresa della motilità della spalla.

  1. Semplice perché in fondo non si tratta che di una normale artrotomia e di una normale e consueta sutura a pastrano alla quale, dai tempi della Putti-Platt siamo tutti abituati. Inoltre, se non esistono concomitanti lesioni del cercine glenoideo da riparare con viti o ancorette, la tecnica non prevede mezzi di sintesi da lasciare in situ.
  2. Rispetto dell'anatomia perché non costringe ad osteotomie o a trasposizioni complesse e perché alla fine ripristina la normale fisiologia della porzione anteriore della capsula .
  3. Veloce e completa ripresa della motilità della spalla perché questo tipo di sindesmopessi non provoca accorciamenti della capsula che fatalmente si traducono in riduzione del movimento.

Tecnica chirurgica a cielo aperto secondo Latarjet
La tecnica di Latarjet prevede il distacco (osteotomia) della coracoide e una reinserzione di questa apofisi scapolare in regione gleonidea anteriore sub-equatoriale. La tecnica di Latarjet viene normalmente eseguita attraverso una mini-incisione a cielo aperto, anche se oggi si stanno sviluppando a livello sperimentale delle tecniche per via artroscopica. L'indicazione specifica per la tecnica di Latarjet è la lussazione abituale ( cioè lussazioni ripetute nel tempo) in cui si abbia una perdita del tessuto osseo e cartilagineo superiore al 20% nella regione antero-inferiore della superficie glenoidea.

Il vantaggio della tecnica di Latarjet, è quella di ripristinare con la bratta ossea il tessuto osseo mancante della glena e di avere un effetto di stabilizzazione dovuto anche ai tessuti molli in particolare al tendine comune e alla parte inferiore del muscolo sottoscapolare. Un chirurgo esperto sarà in grado di eseguire correttamente questa tecnica attraverso un incisione di pochi cm evitando di distaccare completamente il tendine del sottoscapolare, ma facendo uno split dello stesso, cioè passando attraverso il muscolo. Questo comporta un tempo di guarigione più rapido e dei risultati clinici eccellenti spesso sovrapponibili se non migliori di quelli del capsular-shift e delle tecniche di stabilizzazione artroscopica. La tecnica di Latarjet è una procedura estremamente difficoltosa, e deve essere eseguita assolutamente da personale dedicato ad alta specializzazione.

Ricovero e riabilitazione
La durata media del ricovero è di 24 ore; il paziente viene dimesso nella mattinata successiva all'intervento, salvo complicazioni. Nell'immediato post-operatorio, viene posizionato un reggibraccio che va portato per 30gg (salvo diversa indicazione).

Durante tale periodo è comunque possibile rimuovere il tutore 2-3 volte al giorno per eseguire cauti esercizi di mobilizzazione passiva di gomito, polso e dita sempre con l'arto adesso al fianco. Il paziente verrà opportunamente istruito e reso autosufficiente per quanto riguarda le necessità quotidiane quali il lavarsi ed il vestirsi. Passati i 30gg dall'intervento, si potrà iniziare il trattamento fisioterapico, salvo diversa indicazione del Chirurgo.

Per salvaguardare la riparazione dei tendini non sono consentiti l'extrarotazione oltre i 30°, i movimenti attivi (ad esempio sollevare il braccio in avanti), ed il sollevamento di pesi per 6 settimane. Questo infatti è il tempo medio di integrazione delle strutture riparate.
Bisognerà prevedere almeno 2 mesi di riabilitazione.

In media il recupero funzionale ed il ritorno alle normali attività quotidiane si ottiene in 4-6 mesi ma può necessitare anche di periodi più lunghi. La ripresa di lavori particolarmente pesanti e di sport agonistici o di contatto può richiedere anche un anno.

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CAPSULITE ADESIVA

Storia
Fin dal 1872 Duplay descrisse questa condizione morbosa e Codman nel 1934 affermò che tale patologia era "difficile da trattare e difficile da spiegare dal punto di vista dell'eziopatogenesi.
È passato oltre un secolo e la fisiopatologia ed il decorso della forma idiopatica ancora non è chiaro. Innanzitutto vi è una varietà di termini per identificare tale malattia ed il primo problema è di ordine semantico: capsulite retrattile, capsulite adesiva, spalla rigida, spalla contratta, spalla congelata (frozen shoulder).

Alcuni autori americani nel 1993, per merito di Zuckerman, hanno cercato di dare una definizione della spalla rigida idiopatica definendola una condizione di incerta causa, caratterizzata da una significativa restrizione della motilità attiva e passiva, che subentra in assenza di anomalie intrinseche.

Neviaser, invece, puntualizza maggiormente l'aspetto anatomo-patologico, focalizzando l'attenzione sulla capsula anteriore, la quale mediante una sinovite cronica provoca una attiva proliferazione fibroblastica con aumento della produzione di collagene e successiva contrattura dello strato capsulare sottostante, perdita di elasticità con volume articolare ridotto. Neviaser, descrive la separazione della capsula dalla testa omerale sottostante come se un cerotto adesivo sia stato strappato via dalla nuda pelle, da cui il nome: Capsulite adesiva. Spesso vi è associata uno scollamento del capo lungo del tendine del bicipite dalla sua guaina. Questo è stato anche recentemente evidenziato mediante RMN che mostra un aumento dello spessore capsulare.

Ozaky invece, considera la lesione principale una contrattura del triangolo dei rotatori a livello del legamento coraco-omerale, mentre Bunker ha paragonato questa retrazione al Dupuytren.
Anche sul carattere di benignità della malattia con il suo decorso autolimitante qualche Autore non è d'accordo; Gilvie-Harris nel 1995 afferma che a lungo termine circa il 10% dei pazienti con capsulite retrattile lamenta ancora impotenza funzionale della spalla.

Certamente quando, nella pratica clinica, abbiamo di fronte un paziente con tale patologia (in genere di sesso femminile dai 40 ai 60 anni di età con lato non dominante più frequentemente colpito), bisogna avvertirlo, come afferma Charles Rockwood, di essere un paziente-paziente.

Classificazione
E' interessante sottolineare che esistono due forme di capsuliti: la Frozen Shoulder e la Capsulite post-traumatica.

La prima colpisce più di frequente le donne oltre i 40 anni, talvolta persone affette da malattie endocrine come ad esempio il diabete.

La capsulite post-traumatica dal punto di vista anatomo-patologico è un processo flogistico più localizzato rispetto alla spalla congelata. Il primum movens può essere un trauma (frattura, lussazione, contusione, ecc) spesso sottovalutato od una serie di micro-traumi. Anche in questa patologia il dolore e la limitazione articolare sono i sintomi più importanti, anche se si manifestano in modo attenuato.

La Frozen Shoulder è una patologia multifattoriale la cui incidenza oscilla tra il 2% e il 5% nella popolazione. Nel 10% dei casi l'affezione è presente in tutte e due le spalle.

Eziopatogenesi
L'eziopatogenesi non è ancora chiara. Varie teorie sono state proposte in questi ultimi anni: autoimmune, dismetabolica, neurologica, endocrina, psicologica, e tra le forme secondarie si sono considerate implicazioni infettive (HIV), da farmaci (isoniazide, fenobarbital, antisecretori gastrici) o da utilizzo di strumenti chirurgici come le radiofrequenze o il laser per lo shrinkage capsulare. Viene colpito soprattutto il sesso femminile con un'età compresa tra i 40 e 60 anni e spesso con personalità depressivo ansiosa.

E' stata osservata una più elevata frequenza in pazienti con alterato metabolismo dei grassi (ipercolesterolemia, diabete, cardiopatie) e in quelli che fanno uso di farmaci anticonvulsivanti.

La capsula articolare non presenta segni di infiammazione, ma va incontro ad una fibrosi, aumentano cioè alcune cellule dette fibroblasti e miofibroblasti che producono bande fibrose responsabili di retrazione e rigidità della capsula.

Istopatologia
La capsula è più sottile del normale e contiene meno liquido sinoviale, contratta e rigonfia è aderente alla testa omerale; si nota una grossolana riduzione del volume dell'articolazione che spesso può ricevere una iniezione intra-articolare di 0,5 - 3 cc. di liquido per artrografia, invece dei valori normali di 30 - 35 cc.

Nella capsula della spalla congelata; Lundberg, trovò mediante l'analisi biochimica del liquido sinoviale, un aumento nella concentrazione di glicosammin-glicano (proteina-polisaccaride). Il significato di ciò non è noto se non perché esso rappresenta una deviazione dalla norma ed un aumento nell'attività di sintesi delle cellule del tessuto connettivo.

Come si manifesta?
Clinicamente la capsulite retrattile primaria viene suddivisa in tre stadi: fase dolorosa (freezing), fase di irrigidimento progressivo (frozen), fase di risoluzione (thawining). Infatti si pensa che la sindrome sia fine a se stessa; vale a dire che le strutture attorno alla spalla passino attraverso un ciclo " raffreddamento, congelamento e scongelamento ".Ognuno dei tre stadi può perdurare per diversi mesi.

Fase di raffreddamento: è la fase iniziale e più dolorosa della patologia; il dolore è ingravescente nel tempo e mano a mano che questo peggiora il paziente tende a limitare sempre più il suo utilizzo. In questa fase i movimenti sono limitati ma la spalla conserva ancora buona parte della sua mobilità perdendola poco a poco; questa fase dura generalmente 6-12 settimane.

Fase di congelamento: si assiste ad un aumento della rigidità articolare mentre il dolore tende ad alleviarsi; questa fase può durare 4-6 mesi.

Fase di scongelamento: si caratterizza per un graduale miglioramento della condizione che può durare anche più di un anno.

Tutti gli stadi di questa sindrome vengono evidenziati mediante la limitazione di un solo tipo di movimento (ad esempio la rotazione esterna).

Il paziente spesso evita qualsiasi movimento della spalla, ma quando è in posizione rilasciata ed il braccio è passivamente mosso in uno spazio limitato, si verificano con facilità una diminuzione del movimento ed una perdita del normale ritmo scapolo-omerale. In parecchi casi la perdita della mobilità si verifica su tutti i piani, di abduzione, di flessione, di estensione e di rotazione interna ed esterna. In parecchi casi tuttavia, vengono presi soltanto gli ultimi 10 o 15 gradi di motilità in tutti i piani di movimento.

Come si diagnostica?
La diagnosi è generalmente clinica; tuttavia alcune indagini possono essere di aiuto. Gli esami ematici possono evidenziare una iperlipidemia, spesso oscura al paziente. Gli esami radiografici possono escludere la presenza di altre importanti patologie della spalla. La RM e l'ecografia statica possono evidenziare un ispessimento della capsula; quelle dinamiche, un ridotto scorrimento dei tendini della cuffia sulla capsula. L'artrografia e l'artro-TAC mostrano una riduzione dell'ampiezza delle tasche (recessi) capsulari.

Come si tratta?
Il trattamento della sindrome varia da " nessun trattamento " all'intervento operatorio aperto con resezione del tendine sottoscapolare e della capsula sottostante, secondo quanto eseguito da Neviaser. Se non trattata, tale condizione può permanere fino a 12-24 mesi.

Il primo approccio in genere è di tipo conservativo e possono essere assunti farmaci antidolorofici. I risultati di 5 studi randomizzati con placebo hanno suggerito che i NSAIDs usati per qualche settimana sono utili nel ridurre la sintomatologia dolorosa rispetto al placebo nelle fasi iniziali della patologia.

Il trattamento conservativo consiste inoltre in un programma adeguato e ben condotto di terapia fisica riabilitativa, protratto per almeno 6 settimane ed effettuato da un fisioterapista ed autonomamente.

La finalità di questi trattamenti è rompere o rimuovere le aderenza fibrose nell'articolazione e nello spazio sub-acromiale mediante esercizi di allungamento e mobilizzazione per migliorare il range di movimento e per minimizzare la perdita di tessuto muscolare. Questi esercizi vanno eseguiti più volte al giorno (almeno tre), senza sforzare i movimenti. Il 90% dei pazienti sottoposti a trattamento fisioterapico ha una attenuazione del dolore ed un miglioramento della mobilità entro le prime 6 settimane.

L'associazione di calore può contribuire ad allentare il blocco articolare grazie all'aumentata vasodilatazione locale; particolarmente utile risulta per dieci minuti prima della seduta di fisioterapia l'applicazione di calore umido (fanghi, paraffina, bagni o impacchi).

Alcune terapie fisiche come ultrasuoni, laserterapia , TENS, gli ultrasuoni, microonde e trattamento a raggi infrarossi vengono talvolta impiegate per accelerare il recupero funzionale. Le iniezioni locali con steroidi possono contribuire negli stadi iniziali a diminuire il dolore; tre studi randomizzati con placebo versus iniezione intraarticoalre di steroidi o per via orale non hanno dimostrato significativi benefici a 5 mesi di follow-up. Attualmente sono in sperimentazione metodi che prevedono l'iniezione locale di particolari sostanze in grado di "sbloccare" l'articolazione mediante la distensione e lo scollamento della capsula articolare.
Se queste terapie non hanno successo è necessario ricorrere alla mobilizzazione in narcosi al fine di aumentare il ROM.

I risultati della mobilizzazione in narcosi sono contrastanti. Dati della letteratura suggeriscono che il 50%-90% dei pazienti trattati ha un miglioramento del quadro clinico. Alla mobilizzazione deve necessariamente seguire un intenso ciclo fisioterapico.

Ulteriore trattamento utilizzato è il blocco del nervo sottoscapolare con Bivocaina ripeturo per tre volte con 10ml al 0.05% a intervallo settimanale. I risultati mostrano una significativa riduzione del dolore senza miglioramento del deficit di articolarità a distanza di 3 settimane dal trattamento.

La tecnica chirurgica artroscopica trova indicazione solo quando vi è un precedente fallimento delle manipolazioni. Essenzialmente si esegue la capsulotomia circonferenziale con debridement sinoviale, sezione del legamento coraco-omerale, associato a gentili manipolazioni. L'intervento chirurgico affinché abbia successo deve essere seguito immediatamente da un aggressivo programma di stretching che comprende la mobilizzazione in tutti i piani e poi terapia fisica con un programma di esercizi da svolgere anche a casa.

È certamente utile nei casi di grave adesione effettuare una manipolazione pre-artroscopica poiché senza questo preventivo "sblocco" può risultare difficile l'ingresso in articolazione e lo stesso artroscopio può facilmente creare dei danni cartilaginei nella testa omerale, nonostante sia più problematico dominare il sanguinamento intra-articolare che tale manovra inevitabilmente provoca.

La chirurgia "aperta",ha ancora un importante ruolo nella frozen shoulder idiopatica, soprattutto, quando il chirurgo vuole risolvere la normale escursione in extrarotazione, allungando il sottoscapolare; nelle forme secondarie, invece, in particolare nelle rigidità periarticolari, post-chirurgiche e nelle recidive, come afferma Lundberg, la chirurgia "aperta" viene penalizzata nel post-operatorio dal dolore, sicuramente maggiore rispetto alle altre tecniche, e dalla sutura delle parti molli (sottoscapolare, ad esempio) che limita la mobilizazione precoce. Dei pazienti trattati a cielo aperto o artroscopicamente circa l'85% ottengono risultati soddisfacenti.


Schema riassuntivo di protocollo riabilitativo:
  • FASE 1: SETTIMANE O-8

Obiettivi:
  • Ridurre il dolore
  • Recuperare il ROM (movimento)

Restrizioni:
  • Nessuna

Immobilizzazione:
  • Nessuna

Controllo del dolore:
  • la riduzione del dolore e' essenziale per la guarigione.

Farmaci:
  • FANS
  • Infiltrazioni
  • Cortisone per os

Fisioterapia:
  • Ghiaccio, ultrasuoni,ionoforesi
  • Caldo umido prima della seduta e ghiaccio alla fine

Mobilita' della spalla:
Obiettivi:
  • Esercizi per il ROM controllati ed aggressivi;
  • L'attenzione e' focalizzata sullo stretching al limite del ROM
  • Nessuna restrizione sul ROM, ma il terapista ed il paziente devono comunicare fra loro per evitare lesioni.
Esercizi:
  • Attenzione iniziale sulla flessione e sulla rotazione interna ed esterna con il braccio al fianco ed il gomito a 90 gradi.
  • Esercizi attivi per il ROM
  • Esercizi attivi assistiti per il ROM
  • Esercizi passivi per il ROM
  • Un programma di esercizi domiciliari deve essere istituito fin dall'inizio:
  • il paziente deve fare gli esercizi per il ROM 3-5 volte al di
  • Uno stretching sostenuto per 15-30 sec alla fine del ROM deve fare parte degli esercizi per il ROM

  • FASE 2: SETTIMANE 8-16

Criteri per il passaggio alla fase 2:
  • Riduzione del dolore alla spalla
  • Miglioramento della mobilita' della spalla
  • Esame fisico soddisfacente
Obiettivi
  • Migliorare la motilita' su tutti i piani
  • Migliorare la forza e la resistenza della cuffia dei rotatori e degli stabilizzatori della scapola

Controllo del dolore:
la riduzione del dolore e' essenziale per la guarigione. (vedi sopra)

Mobilita' della spalla:
Obiettivi:
  • 140 gradi di flessione anteriore
  • 45 gradi di rotazione esterna
  • Rotazione interna fino a raggiungere i processi spinosi del tratta toracico

Esercizi:
vedi sopra

Rinforzo muscolare:
  • Rinforzo della cuffia dei rotatori - tre volte alla settimana, 3 serie di 8-12 ripetizioni.
  • Esercizi isometrici in catena cinetica chiusa con il gomito flesso a 90 gradi ed il braccio al fianco
  • Rotazione interna
  • Rotazione esterna
  • Abduzione
  • Flessione
  • Progredire agli esercizi in catena cinetica aperta con elastico
  • Esercizi con il gomito flesso a 90 gradi
  • La posizione di partenza e' con la spalla in posizione neutra a 0 gradi di flessione, abduzione rotazione esterna
  • Gli esercizi vanno eseguiti per un ampiezza di 45 gradi su tutti i piani di movimento
  • Usare elastici con resistenze da 0,5 kg a 3 kg ed incrementi di 0,5kg ogni volta
  • La progressione alla resistenza successiva avviene in genere ogni 2-3 settimane. Il paziente deve essere avvertito a non passare all'elastico successivo se avverte ancora dolore con quello che sta usando.
  • Gli esercizi con elastico sono una forma di rinforzo sia eccentrico che concentrico per i muscoli della spalla: sono una forma di esercizio isotonico (caratterizzato da velocita' variabile e resistenza fissa)
  • Progredire a esercizi isotonici leggeri con manubrio
  • Rinforzo degli stabilizzatori della scapola
  • Cominciare con gli esercizi in catena chiusa e proseguire fino a quelli in catena aperta
  • Rinforzo del deltoide

  • FASE 3: MESE 4 in poi

Criteri per il passaggio alla fase 3:
  • Recupero significativo del ROM funzionale
  • Miglioramento delle attivita' del vivere quotidiano
  • Risoluzione del dolore della spalla
  • Esame obiettivo soddisfacente
Obiettivi
Esercizi di mantenimento da eseguire a casa:
  • Esercizi per il ROM due volte al di
  • Esercizi di rinforzo cuffia dei rotatori tre volte alla settimana
  • Esercizi di rinforzo degli stabilizzatori della scapola tre volte alla settimana


Bibliografia:
  • Boyle, A.C.: Joints and their discases; of the shoulder joint. Brit. Med. J., 3:283-285, 1969.
  • Hazleman, B.L.: Painful stiff shoulder. Rheum. Phys. Med., 11:413-421, 1972.
  • Zuckermann JD. Definition and classificatrion of frozen shoulderç a consensus approach. J Schoulder and Elbow Surgery 1994,3.
  • Bunker TD. The pathology of frozen shoulder diagnosis, a Dupuytrein like disease. J Bone Joint Surgery 1995 77 667-64.
  • Neviaser R. The frozen shoulder diagnosis and management. Clin Orthop Rel Res 1987,223 59-64.
  • Ozaky J. Recalcitrant chronic adhesive capsulitis of the shoulder. Role of contracture of the coracohumeral ligament and rotator interval in the pathogenesis and treatment. J Bone Joint Surgery 1998 71, 1511-5.
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ARTROSI

Che cosa si intende per artrosi della spalla?
L'Artrosi della spalla è una patologia che colpisce per lo più la popolazione anziana (>65anni),tale patologia è dovuta al consumo precoce dei capi articolari, che dunque non permettono una normale funzione dell'arto superiore.

Le superfici delle ossa sono rivestite alle loro estremità da un tessuto detto "cartilagine"; la cartilagine è levigata e molto delicata e consente lo scivolamento dell'estremità di un osso rispetto all'altro. La cartilagine è un tessuto "nobile": quando per motivi traumatici o degenerativi si consuma, non si rigenera. Ogni organismo è regolato da un "orologio genetico individuale" che detta i tempi di "invecchiamento" dei vari tessuti compresa la cartilagine.

Come si manifesta l'artrosi di spalla?
La sintomatologia soggettiva consiste essenzialmente nel dolore dell'articolazione interessata o della muscolatura regionale, che é più intenso al mattino, si attenua con il movimento, si può riacutizzare dopo sforzo e generalmente si attenua durante il riposo notturno. Successivamente la funzionalità articolare diventa limitata prima dal dolore, poi dagli ostacoli di natura meccanica che possono impedire lo svolgimento delle normali attività o rendere difficili anche le abituali funzioni della vita di relazione. La spalla perde progressivamente la mobilità sino a non permettere al braccio di spostarsi dal corpo. Nella fase avanzata dell'artrosi, i movimenti di rotazione interna ed esterna producono dolore riferito alla spalla ed irradiantesi verso il gomito.

Come si può diagnosticare l'artrosi?
Mediante l'esecuzione di una semplice radiografia si può osservare la diminuzione della rima articolare che rappresenta il primo segno di danno cartilagineo e può consentire di fare diagnosi di artrosi iniziale. La presenza degli osteofiti e le deformità dell'articolazione sono segno di artrosi di vecchia data che si conclude con l'anchilosi dell'articolazione.
In caso di intervento può essere necessario un approfondimento TAC.

Come si può trattare l'artrosi?
In pazienti giovani e nelle forme di grado lieve, cioè quando la cartilagine che riveste l'omero o quella della cavità glenoidea non sia notevolmente assottigliata e degenerata, il trattamento consiste in uno o più cicli di fisiochinesiterapia (utili per ridurre il dolore e mantenere l'articolarità della spalla), antiifiammatori e, talora, in una o più infiltrazioni di infiltrativo acido ialuronico o cortisonici nell'articolazione, eseguite da ortopedici esperti.
La terapia negli stadi avanzati di questa patologia è chirurgica.

In particolare ci si avvale di moderni impianti protesici che permettono la parziale o totale sostituzione dell'articolazione. Tali impianti sono metallici, in titanio pregiato ed in genere vengono infissi nell'osso senza necessità di cementazione.

Le protesi di spalla permettono il recupero della funzionalità della spalla, in termini di movimento, in circa 30 giorni a seconda della gravità pre-operatoria del caso. La durata media di una protesi di spalla è superiore a quella femorale (>10 anni), poiché, a differenza di quest'ultima, non deve sostenere il peso del corpo ed è quindi sottoposta a minori sollecitazioni meccaniche.

Cosa succede dopo l'intervento ?
  1. Dall'immediato post operatorio la sua spalla sarà tutelata con un reggibraccio
  2. Finito l'effetto dell'anestesia sarà possibile deambulare.
  3. Due giorni dopo l'intervento verrà fatta la prima medicazione e verrà rimosso il drenaggio adiacente la ferita chirurgica
  4. Il gomito potrà essere mobilizzato dal giorno successivo l'intervento.
  5. Normalmente i punti di sutura vengono rimossi 12-14 gg dall'intervento e da quel giorno il Chirurgo vi illustrerà in primi movimenti da fare domiciliarmene con la spalla.
  6. A 30 gg dall'intervento viene eseguito un controllo rx e clinico e successivamente iniziata la fisiochinesi terapia assistità con modalità e frequenza secondo il caso in questione.
  7. I tempi di recupero sono in media tra i quattro e i sei mesi dall'intervento



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